«La vita non è mai disponibile Provo turbamento, ma anche rispetto»
«Di fronte a un’ultimativa volontà di morire il credente resta sempre profondamente turbato, sia che quella volontà venga espressa da un singolo in solitudine, sia che trovi conforto nel parere di un comitato etico. Il turbamento viene dall’oggettivo contrasto di quella volontà nei confronti della sacralità della vita, che per il credente ha caratteri di mistero e di dono e non è mai disponibile». Così il teologo e arcivescovo di Chieti Bruno Forte commenta il «parere» del Comitato etico che ha dato il via libera al primo caso italiano di suicidio assistito legalmente riconosciuto. Riaffermato il principio, cosa dice a Mario che chiede di morire e a quanti appoggiano la sua richiesta?
«Il credente sa che in una società complessa come la nostra convivono molteplici convincimenti valoriali e non ha difficoltà a rispettare un cammino di coscienza diverso dal suo. Lo rispetta, segnalando il duplice sentimento con cui intende accompagnare il suo rispetto: desiderio di vicinanza a chi è nel dramma, speranza contro ogni speranza che resti possibile un ripensamento della decisione di morte». Questa speranza estrema nella sua esperienza di vescovo ha mai vinto?
«Certo. Chi sta decidendo di mettere fine ai suoi giorni può mutare opinione e accettare di vivere se si vede collocato in un rapporto d’amore. Vissuto in quel rapporto, anche il dolore che non trova più rimedio nella medicina palliativa può farsi accettabile».
Valori inviolabili
Anche la coscienza è inviolabile ed è necessario evitare ogni accanimento terapeutico
L’uomo di fede dispone di altra risorsa, oltre a quella affettiva?
«La sua risorsa specifica è l’affidamento a Dio: “nelle tue mani affido la mia vita”. Se l’affidamento sarà di coppia, o familiare, o comunitario, potrà venirne anche un aiuto a fronteggiare il dramma: ho conosciuto casi estremi nei quali è stata decisiva l’invocazione a Dio della possibilità di continuare a vedersi e ad amarsi».
Come vede il ruolo del medico chiamato ad assistere il suicida? Possiamo intenderlo come un aiuto al sofferente, secondo la concezione della professione medica?
«Dalla mia posizione no e a un medico credente ricorderei l’opportunità dell’obiezione di coscienza.
Ma posso capire il medico laico che in ascolto della decisione del paziente maturi il convincimento che il suo ruolo sia di accompagnarlo in quel passo. Del resto per tutti la questione è complessa e occorre aver presente che accanto al valore inviolabile della vita vi sono anche l’inviolabilità della coscienza e la necessità di evitare ogni accanimento terapeutico». Una posizione simile è stata espressa dalla Pontificia Accademia per la vita, che ha invitato a «non minimizzare la gravità di quanto vissuto da Mario», segnalando insieme che in nessun modo si dovrebbe «incoraggiare a togliersi la vita». L’Accademia richiama anche la necessità che l’unica risposta a chi soffre non sia mai quella di «rendere normale il gesto della nostra reciproca soppressione» e ricorda che «la logica delle cure palliative contempla la possibilità di sospendere tutti i trattamenti che vengano considerati sproporzionati dal paziente».