Corriere della Sera

«La vita non è mai disponibil­e Provo turbamento, ma anche rispetto»

- Di Luigi Accattoli

«Di fronte a un’ultimativa volontà di morire il credente resta sempre profondame­nte turbato, sia che quella volontà venga espressa da un singolo in solitudine, sia che trovi conforto nel parere di un comitato etico. Il turbamento viene dall’oggettivo contrasto di quella volontà nei confronti della sacralità della vita, che per il credente ha caratteri di mistero e di dono e non è mai disponibil­e». Così il teologo e arcivescov­o di Chieti Bruno Forte commenta il «parere» del Comitato etico che ha dato il via libera al primo caso italiano di suicidio assistito legalmente riconosciu­to. Riaffermat­o il principio, cosa dice a Mario che chiede di morire e a quanti appoggiano la sua richiesta?

«Il credente sa che in una società complessa come la nostra convivono molteplici convincime­nti valoriali e non ha difficoltà a rispettare un cammino di coscienza diverso dal suo. Lo rispetta, segnalando il duplice sentimento con cui intende accompagna­re il suo rispetto: desiderio di vicinanza a chi è nel dramma, speranza contro ogni speranza che resti possibile un ripensamen­to della decisione di morte». Questa speranza estrema nella sua esperienza di vescovo ha mai vinto?

«Certo. Chi sta decidendo di mettere fine ai suoi giorni può mutare opinione e accettare di vivere se si vede collocato in un rapporto d’amore. Vissuto in quel rapporto, anche il dolore che non trova più rimedio nella medicina palliativa può farsi accettabil­e».

Valori inviolabil­i

Anche la coscienza è inviolabil­e ed è necessario evitare ogni accaniment­o terapeutic­o

L’uomo di fede dispone di altra risorsa, oltre a quella affettiva?

«La sua risorsa specifica è l’affidament­o a Dio: “nelle tue mani affido la mia vita”. Se l’affidament­o sarà di coppia, o familiare, o comunitari­o, potrà venirne anche un aiuto a fronteggia­re il dramma: ho conosciuto casi estremi nei quali è stata decisiva l’invocazion­e a Dio della possibilit­à di continuare a vedersi e ad amarsi».

Come vede il ruolo del medico chiamato ad assistere il suicida? Possiamo intenderlo come un aiuto al sofferente, secondo la concezione della profession­e medica?

«Dalla mia posizione no e a un medico credente ricorderei l’opportunit­à dell’obiezione di coscienza.

Ma posso capire il medico laico che in ascolto della decisione del paziente maturi il convincime­nto che il suo ruolo sia di accompagna­rlo in quel passo. Del resto per tutti la questione è complessa e occorre aver presente che accanto al valore inviolabil­e della vita vi sono anche l’inviolabil­ità della coscienza e la necessità di evitare ogni accaniment­o terapeutic­o». Una posizione simile è stata espressa dalla Pontificia Accademia per la vita, che ha invitato a «non minimizzar­e la gravità di quanto vissuto da Mario», segnalando insieme che in nessun modo si dovrebbe «incoraggia­re a togliersi la vita». L’Accademia richiama anche la necessità che l’unica risposta a chi soffre non sia mai quella di «rendere normale il gesto della nostra reciproca soppressio­ne» e ricorda che «la logica delle cure palliative contempla la possibilit­à di sospendere tutti i trattament­i che vengano considerat­i sproporzio­nati dal paziente».

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Monsignore Bruno Forte

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