La trattativa è congelata Le battaglie sul Colle che nascondono le divisioni nei partiti
ROMA Un pizzico della follia di Stranamore percorre la politica italiana in questi giorni che precedono la battaglia per il Quirinale. Per chi non ricordasse il capolavoro di Stanley Kubrick, quando la «macchina fine di mondo» atomica si è innescata e non può più essere fermata e si studia come salvare un campione dell’umanità nelle viscere della terra, sia russi che americani pensano a mettere via anche un po’ di bombe di quelle grosse per quando si potrà rimettere fuori la testa. E oggi, allo stesso modo, all’ombra di una pandemia ancora lontana dall’essere domata, il cuore batte soprattutto per la campagna elettorale prossima ventura.
Succede così che si assista ad uno spreco di scenari, con Sergio Mattarella «congelato» almeno per un anno alla guida del Colle, speculando sull’emergenza virus. Lo stesso virus che consiglierebbe di non spostare Mario Draghi da Palazzo Chigi, oppure di eleggerlo capo dello Stato, ma avvertendo che poi non ci sarebbe spazio per un altro governo ma solo per il ricorso al voto anticipato.
Battaglie di posizione, che al momento sembrano servire più a nascondere le divisioni all’interno degli schieramenti e degli stessi partiti che a disegnare davvero i percorsi futuri.
Nel Pd, che pure come divisioni interne non è secondo a nessuno, si sostiene che l’operarazione accerchiamento di parte del centrodestra al presidente del Consiglio sia per ora niente di più che un gioco di società, tendente a coprire la mancanza di un candidato unitario, di un piano B, qualora non andasse a buon fine l’ipotesi che vuole Silvio Berlusconi al Quirinale, e alla quale soprattutto l’interessato lavora con convinzione.
Si fantastica così su ipotetici schieramenti, che per comodità si potrebbero definire maggioranza Ursula e maggioranza non Ursula. Laddove per la prima si intende quella che ha portato alla nomina di Ursula von der Leyen alla guida della commissione europea (Pd con Renzi,Cinque Stelle, Forza Italia e Leu) e per la seconda un’alleanza con Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia e Italia viva che ha dato buona prova di sé nell’affondare la legge Zan.
Tutti e due gli eserciti al momento non sembrano avere certezza di poter fare da soli quando si comincerà a votare per il nuovo presidente della Repubblica, non solo per l’insidia dei franchi tiratori, ma anche per la scelta di un nome che abbia sufficiente consenso e solidità per reggere alla prova del Parlamento che nascerà dalle prossime elezioni politiche, ridotto peraltro di 345 membri.
La Lega soffre la partecipazione alla maggioranza di governo, accusa Draghi di scarsa condivisione, lo invita a sciogliere la riserva, se vuole andare al Quirinale, fermo restando che Salvini non sosterrà un nuovo esecutivo con un altro premier. E quindi gli chiede, in alternativa,di restare a Palazzo Chigi,come auspicato anche dal leader di Forza Italia nell’intervista di ieri al Corriere della Sera. In quel caso, e solo dopo il tentativo di Berlusconi, ci sarebbe una disponibilità per votare Pier Ferdinando Casini, o Marcello Pera, o Gianni Letta, o per il presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati. Ma non per Giuliano Amato, che è invece uno dei nomi possibili per Italia viva, convinta che spetti al centrodestra indicare la via maestra per il Colle. I renziani sono i più espliciti sostenitori della permanenza di Draghi alla guida del governo anche per non votare subito: con Daniele Franco premier, dicono, non ci sarebbero possibilità che nasca un nuovo esecutivo e lo stesso Luigi Di Maio, deducono, ha bisogno almeno di un anno per «liquidare» l’amico Giuseppe Conte e tornare alla guida dei Cinque stelle.
Altrove, ambienti finanziari, si fa notare come sarebbe ingenuo chiedere a Draghi, come fa la Lega, di candidarsi esplicitamente al Colle, perché esporrebbe a rischi l’economia del Paese. E ancora non manca chi spiega come proprio scegliere un candidato di parte sarebbe invece la strada più rapida per precipitare davvero nelle elezioni anticipate.
Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha più volte motivato il suo no a un bis e il suo rigoroso rispetto delle istituzioni mal si concilia con soluzioni a tempo, pasticciate, con strappi costituzionali maldestramente mascherati con la giustificazione dell’emergenza. Tutto invita a non continuare a «giocare» con il suo nome, tanto più in modo a volte palesemente strumentale. Se si dovesse tornare a bussare alla sua porta, non potrebbe essere che alla fine di un percorso, non auspicabile, con la politica incapace di fare una scelta e con la pandemia di nuovo in crescita, e comunque solo con una maggioranza da unità nazionale.
Quello che si vede in questi giorni, in realtà, sono solo cannoneggiamenti da una trincea all’altra, nell’improbabile caso che qualcuno si intimorisca, rinviando per ora l’inevitabile: che gli schieramenti comincino a parlarsi.
Tra le trincee
Per ora si vedono solo cannoneggiamenti nella speranza che qualcuno si intimorisca