Piccolo e innovativo: la sfida del commercio post Covid
La crisi pandemica ha rilanciato i punti vendita di prossimità. Ma molti piccoli imprenditori rischiano di non avere un futuro se non accedono a un nuovo modello di business. L’allarme di Confesercenti che chiede al governo interventi e aiuti al settore
Hai perso il lavoro? Non resta che mettere insieme i risparmi di famiglia e aprire un negozio». Il commercio come ripiego per chi era a caccia di un’occupazione è stato largamente utilizzato anche con le crisi del 2008 e del 2012. Ora però il meccanismo — che già lasciava intravedere evidenti limiti, basti pensare al sempre più alto tasso di mortalità delle nuove iniziative imprenditoriali — si è definitivamente inceppato. La crisi Covid sta rivoluzionando il settore e costringe a una presa d’atto: il piccolo commercio non può più essere utilizzato come attività-ripiego.
Sia chiaro: i punti vendita di prossimità funzionano, eccome. Da anni ormai le grandi taglie della distrubuzione hanno iniziato a perdere smalto. L’accelerazione sullo smart working ha fatto il resto. Il commercio di vicinato, però, è vincente a una condizione: che siano assicurate produttività e innovazione. La presenza ormai strutturale dell’e-commerce con l’affermarsi dei punti vendita phygital, fisici e digitali nello stesso tempo, da una parte, e del delivery come fattori di competitività dall’altra, spingono in questa direzione. E-commerce e delivery sono infatti leve
Necessario sostenere l’evoluzione del retail per far crescere la produttività dei servizi
da utilizzare con competenza e managerialità.
Le associazioni d’impresa del commercio da sempre rivendicano il ruolo sociale dei punti vendita di prossimità come «presidio del territorio». Ma ora si rendono conto che il piccolo imprenditore del settore, profilo in cui si riconoscono la maggioranza degli associati, ha bisogno di supporto. «Il futuro è delle piccole superfici, non c’è dubbio — dice il segretario generale di Confesercenti Mauro Bussoni —. Ma dobbiamo fare i conti con la realtà. Penso alla drastica riduzione della nascita di nuovi punti vendita: 75 mila sono venuti a mancare all’appello in meno di 18 mesi di pandemia. Intanto le chiusure aumentano a causa
Noi cerchiamo di fare rete per i rapporti con banche, pubblicità, utenze
della crisi. L’unico settore che si è difeso a colpi di dehors e consegne a domicilio è quello dei pubblici esercizi».
Durante l’ultima assemblea, la presidente di Confesercenti Patrizia De Luise ha chiesto al governo interventi e aiuti per sostenere la nascita della nuove attività. «È evidente che non si può improvvisare, i nostri imprenditori hanno bisogno di supporto — continua Bussoni —. Nel frattempo anche noi come associazione di categoria cerchiamo di fare la nostra parte, favorendo l’aggregazione e la messa in rete dei punti vendita per quanto riguarda i rapporti con le banche, la pubblicità, le utenze».
Negli ultimi anni il commercio di vicinato ha compensato le lacune in termini di managerialità utilizzando il franchising, riducendo tutti i costi, compresi quelli del lavoro. Ma questi strumenti non bastano più. «Se i piccoli non sapranno fare evolvere i loro modelli di business, gli spazi lasciati vuoti rischiano in futuro di essere occupati dai grandi anche nel commercio di prossimità», avverte Mario Sassi, osservatore con il suo blog sul retail.
Gli esempi già ci sono. Prendiamo la catena Gorillas. Garantisce la consegna della spesa in 10 minuti dal momento dell’ordine. Il tutto tramite magazzini che servono la clientela che si trova nel raggio di un chilometro. «Nata nel 2017, la società tedesca oggi è quotata in Borsa — dice Sandro Castaldo, docente di Economia e Gestione delle imprese in Bocconi —. Non ci sono dubbi, è necessario sostenere l’evoluzione del retail con politiche che promuovano la crescita della produttività in tutto il macrosettore dei servizi, caratterizzato da livelli di performance peggiori rispetto all’industria». Per finire, secondo Confesercenti ci sarebbe un altro motivo per supportare il commercio di prossimità: la sostenibilità ambientale. «Più i punti vendita sono vicini meno ci si sposta e meno si inquina — dice Bussoni —. Rilanciare il commercio di vicinato è un’operazione d’interesse collettivo».