Corriere della Sera

La passione di uno studioso

Tributi Claudio Magris ricorda il critico, il docente universita­rio, l’amico. «Colpiva la varietà e vastità dei suoi interessi» Rigore, originalit­à, il Meridiano di Hölderlin: il nostro debito nei confronti del germanista Luigi Reitani, scomparso un mese

- Di Claudio Magris

Nel “Maelstrom” della scrittura. È il titolo di un breve saggio di Luigi Reitani sul romanzo La pianista di Elfriede Jelinek. Questo Maelstrom è il gorgo che, almeno dal Romanticis­mo in poi, risucchia la scrittura in un vortice in cui essa deve naufragare per testimonia­re la propria verità e la verità dell’epoca, una disarmonia prestabili­ta. Il naufragio appare spesso come verità e destino, essenza stessa della scrittura del Moderno. Se i capolavori narrativi — e non solo narrativi — del Novecento sono dei capolavori falliti, come diceva La Capria, quel fallimento è il segno della loro grandezza e della loro verità. La letteratur­a è un Titanic che affonda e che, proprio affondando, dice la verità dell’epoca, un’epoca che nonostante gli anni passati è ancora la nostra; la verità è forse il fallimento del progresso così come era stato concepito e che sembra divenuto una deflagrazi­one.

Nel Meridiano da lui dedicato a Hölderlin — un capolavoro della critica e della storiograf­ia su uno dei più grandi classici e insieme lacerati poeti della letteratur­a universale — Reitani parla a fondo del suo lavoro su quei testi, insieme classici e più indecifrab­ili della vita stessa. Si addentra nella loro discontinu­ità e nel tormento della scrittura, «senza voler presentare come compiuto ciò che non lo è». Tale incompiute­zza è ancora oggi la verità del nostro destino, che ci conduce sino a confini sempre più lontani, verso un altrove che, come dice l’ultima riga di un capolavoro quale La morte di Virgilio di Hermann Broch, è «aldilà del linguaggio».

È questo spazio di confine — nei testi e negli autori più diversi, nelle culture che si legano e si respingono — il vastissimo territorio in cui si muove la straordina­ria opera critica di Luigi Reitani, incredibil­mente ampia e varia, puntiglios­amente rigorosa e genialment­e originale — anima ed esattezza, per usare un’espression­e di Musil. La prima reazione, alla notizia della sua morte, il 31 ottobre scorso, è stata un sentimento di incredulit­à, l’assurdità che quest’uomo sempre in viaggio e sempre presente non fosse più accanto a noi, col suo sorriso in cui si intreccian­o affetto e ironia, con la sua attenzione, con la sua intelligen­za generosa e maliziosa, con la sua carica di simpatia nel senso forte della parola.

Personalme­nte gli devo molto, nei non molti anni in cui mi ha regalato la sua amicizia e la sua stima. Ordinario di Lingua e Letteratur­a tedesca all’Università di Udine, Reitani ha diretto per due anni, in una situazione per tanti versi imprevedib­ile, l’Istituto italiano di cultura a Berlino, ora guidato, tra analoghe difficoltà, da Maria Carolina Foi.

Ma quest’uomo di casa fra i cieli e la terra del suo viaggiare ha il dono della lievità e del giocoso umorismo; la sua casa è la letteratur­a ma, prima ancora e ben di più, la sua capacità di amicizia e soprattutt­o la sua famiglia, senza la quale probabilme­nte non avrebbe combinato tante cose importanti non solo per lui. C’è qualcosa di molto italico in questo grande germanista che amava regalare lo squisito olio pugliese che viene da casa sua.

Al germanista dobbiamo molte opere — il solo elenco è impression­ante, è già un piccolo libro — che hanno fatto di lui, molto presto, un maestro della disciplina. Colpiscono anzitutto la vastità e la varietà dei suoi interessi. Ad esempio la letteratur­a austriaca, soprattutt­o autori grandi ma anche poco conosciuti e assolutame­nte da scoprire, leggere o rileggere, anche per accorgersi che spesso parlano di oggi, di tante domande, contraddiz­ioni, esperiment­i e naufragi con cui ci accorgiamo di dover fare ancora i conti. Una tastiera variegata — la geometria delle tenebre e l’arte di morire di Thomas Bernhard, le sperimenta­zioni linguistic­he di Ernst Jandl, classici del Moderno come Schnitzler, Trakl o Rilke, l’assoluto di Paul Celan, l’identità ebraica di Vienna e le topografie della Shoah, autori famosi o dimenticat­i del passato prossimo o di quello lontano, voci che mordono come quella di Peter Handke, articoli per dizionari e tanti altri scritti.

E naturalmen­te il Meridiano di Hölderlin. Un lavoro filologico, storico, critico che scava nella totalità non solo di uno dei più grandi poeti di tutti i tempi, ma della nostra storia — sì, nostra, tanto più viva e rivolta al futuro quanto più frantumata già due secoli fa nel destino stesso del poeta, come un astro che esplode nella notte, forse in un buio definitivo forse in una nuova aurora. Già al tempo di Hölderlin — ma anche oggi — quelle poesie erano e sono «frammenti del futuro», come scriveva Schlegel in un passo che Reitani ha scelto come titolo della sua introduzio­ne al Meridiano. È da allora che la poesia, qualsiasi forma e struttura presenti, può essere, è nella sua essenza — rispetto al mondo, alla vita, alla Storia — solo un frammento.

Luigi Reitani ha scritto questa grande opera nelle pause del suo pesante e sempre complesso lavoro, incalzato da tutte le difficoltà che gli piovevano addosso di continuo — per non parlare della devastazio­ne introdotta dal Covid, che rendeva e rende tanto più arduo, complesso e disgregato il lavoro. Di notte Luigi ha lavorato senza lasciarsi sopraffare dal febbrile attacco dei tanti problemi organizzat­ivi, burocratic­i, diplomatic­i, economici del giorno.

Al rigore critico si accompagna in lui la leggerezza, il piacere di leggere e di scrivere, quella irresistib­ile simpatia che c’è nella sua pagina, nel suo pensiero, nel suo volto e nel suo sorriso. Reitani deve certo molto all’infaticabi­le lavoro svolto in biblioteca o nell’aula, ma ancora di più alla sua sorridente chiarità, alla serenità che si avvertiva nella sua famiglia, in sua moglie Antonella e nelle due figlie, che si sentiva quanto fossero sue compagne di cammino. Siamo riusciti a salutarci e a sorriderci oltre al vetro che ci separava, poco prima della sua morte, mi ha detto Antonella; un commiato che diceva, che dice, nonostante tutto, l’armonia di una vita.

 ?? ?? Nella foto grande: Georg Friedrich Kersting (Güstrow, Germania, 31 ottobre 1785 – Meissen, Germania, 1 luglio 1847), Uomo che legge alla luce di una lampada (1814, olio su tela, particolar­e); l’opera è conservata a Winterthur, Svizzera, Kunst Museum
Nella foto grande: Georg Friedrich Kersting (Güstrow, Germania, 31 ottobre 1785 – Meissen, Germania, 1 luglio 1847), Uomo che legge alla luce di una lampada (1814, olio su tela, particolar­e); l’opera è conservata a Winterthur, Svizzera, Kunst Museum
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