«Così abbiamo scoperto come chiudere la porta dalla quale entra il virus»
Lo studio di tre scienziati italiani: «Potrebbe diventare un nuovo farmaco, servono i fondi»
Nascondere la parte del recettore ACE2 che Sars-CoV-2 usa per entrare nelle cellule. L’idea è di tre scienziati italiani: una strategia per ostacolare la rapida diffusione del virus e quindi l’infezione. Lo studio ha coinvolto Istituto Italiano di Tecnologia, Scuola Superiore Sant’Anna e Università degli Studi di Milano ed è pubblicato sulla rivista Pharmacological Research. A marzo del 2020 Paolo Ciana (docente di Farmacologia all’Università di Milano), Vincenzo Lionetti (docente di Anestesiologia alla Scuola Superiore Sant’Anna) e Angelo Reggiani (ricercatore senior and principal investigator in Farmacologia all’ITT) si sono chiesti se esiste la possibilità di bloccare una qualsiasi variante del coronavirus mascherando un aminoacido chiamato K353, la porta di ingresso del virus nelle nostre cellule, che si trova sulla superficie della proteina ACE2. Gli esperimenti hanno dato risposta affermativa. Gli scienziati hanno quindi brevettato il primo tassello di quello che potrebbe diventare un nuovo farmaco, basato sull’uso di un «aptamero» di Dna, un breve filamento oligonucleotidico, capace di legarsi in modo specifico a K353 rendendolo inaccessibile alla proteina Spike del coronavirus. Per gli autori, «grazie a questo studio sarà possibile sviluppare un nuovo approccio terapeutico di precisione per prevenire l’infezione da Covid in forma grave, senza stimolare il sistema immunitario o avere effetti collaterali importanti». Abbiamo chiesto ad Angelo Reggiani di raccontare il percorso che ha portato a questa scoperta.
Come si comporterebbe il nuovo farmaco anti-Covid?
«Alla base del nostro studio c’è l’idea di creare uno schermo protettivo con cui nascondere al virus l’accesso alla cellula. Non potendo infettare il suo bersaglio, il virus muore. Abbiamo individuato due aptameri in grado di legarsi efficacemente al recettore ACE2, nascondendolo».
Cosa sono gli aptameri?
«Sono frammenti di Dna a singolo filamento che si comportano come farmaci, hanno un compito specifico e svolgono solo quello. Per capirsi, è come se mettessero una mascherina sulla porta di accesso del virus (l’aminoacido K353). Gli aptameri non entrano nel nucleo delle cellule e non sono in grado di interagire con il nostro Dna».
Come si è svolto lo studio?
«Abbiamo riprodotto al computer la porzione di ACE2 che contiene K353 e poi abbiamo eseguito uno screening in vitro su milioni di aptameri (frammenti di Dna creati artificialmente), trovandone appunto due che si legano molto bene a questa regione di ACE2, riuscendo a renderla invisibile per il virus. Quindi abbiamo condotto gli esperimenti su linee cellulari, prima utilizzando un pezzo di proteina Spike e poi sviluppando nelle cellule l’infezione vera e propria da Sars-CoV-2. I risultati hanno dimostrato che l’idea di partenza è giusta: grazie agli aptameri il virus non si legava alle cellule, non trovando quella che abbiamo definito “porta di ingresso”, ovvero l’aminoacido K353».
Come e quando si potrebbe assumere il farmaco?
«In qualunque momento dell’infezione, ma ovviamente prima si inizia la terapia e meglio è. Presumibilmente andrebbe portata avanti fino alla guarigione. Il grande vantaggio è che l’aptamero è indipendente dalla presenza di mutazioni, quindi potrebbe funzionare con tutte le varianti. Le mutazioni infatti non riguardano la “porta di ingresso” nella cellula. A livello teorico, il farmaco potrebbe essere efficace contro ogni tipo di coronavirus che usa la proteina Spike per infettare le cellule umane tramite il recettore ACE2».
Quali saranno i prossimi passi?
«Per procedere nel lavoro e arrivare, come speriamo, ad avere una nuova terapia contro Covid servono due passaggi: il primo consiste nel trovare una formulazione che consenta al farmaco di arrivare là dove serve che agisca. Gli aptameri, una volta introdotti nel sangue, sono molto instabili: dunque è necessario trovare un sistema per evitare che si degradino rapidamente senza avere tempo di svolgere il proprio compito. Il secondo punto è dimostrare che questa eventuale terapia non è tossica per l’uomo. Sappiamo che gli aptameri non sono immunogenici, ovvero non scatenano una risposta immunitaria, ma non possiamo prevedere a priori se, come sostanza chimica, rischiano di provocare effetti collaterali».
La ricerca per arrivare alla cura che ha descritto sta andando avanti?
«I costi della fase di sviluppo di un nuovo farmaco sono altissimi e noi possiamo accedere solo ai fondi di ricerca dei nostri Istituti. La speranza è trovare un’azienda o un finanziatore che creda nell’approccio messo a punto. Abbiamo brevettato gli aptameri anti-Covid proprio per poter dare in licenza il brevetto in esclusiva a una società interessata a produrre il farmaco, una volta che saranno concluse le diverse fasi dei trial clinici sull’uomo».