LA TRINCEA DEL PARLAMENTO RIMANE IL NO AL VOTO
La notizia uscita ieri dall’incontro con la stampa del presidente della Camera, il grillino Roberto Fico, non riguarda tanto la data di convocazione del Parlamento per iniziare a votare per il Quirinale: quella si deciderà nella prima metà di gennaio. La novità è piuttosto una conferma: l’imperativo non scritto che il Movimento 5 Stelle ha intenzione di mettere come sottopancia di qualunque candidatura, dando voce alla stragrande maggioranza dei parlamentari. E cioè che chi vuole arrivare al Colle deve garantire il no a elezioni anticipate. Garanzia in apparenza imprescindibile, in realtà soggetta a quanto accadrà nei prossimi due mesi. Ma utilizzata da settimane da chi non vuole il premier Mario Draghi al Quirinale, sostenendo che il contraccolpo immediato sarebbe una crisi di governo con il ritorno alle urne. La debolezza di questa tesi sta nel fatto che sembra ignorare l’eventualità di una crisi comunque dell’attuale maggioranza. Uscendo di scena Sergio Mattarella, garante della coalizione guidata da Draghi, difficilmente si potrebbe fingere che non sia successo niente. La prospettiva del voto politico, che comunque arriverà nel 2023, accentuerebbe spinte centrifughe già percepibili. L’idea che Draghi al Quirinale significhi elezioni subito, mentre un altro presidente darebbe continuità al suo esecutivo, sa di alibi. È lo spauracchio agitato da chi teme l’arrivo del premier al posto di Mattarella. In realtà, le probabilità di un’interruzione della legislatura dipendono dalle alleanze che si plasmeranno durante le votazioni per il presidente della Repubblica. A guardare bene, il «no» ribadito più volte da Mattarella a quanti invocano una sua ricandidatura, nasce in primo luogo da una convinzione e una preoccupazione di tipo costituzionale: non vuole piegare il settennato a manovre politiche, che puntano a una sua conferma «a tempo». Il precedente di Giorgio Napolitano, rieletto a furor di Parlamento da Camere che dovevano coprire la propria impotenza, è un monito. Ma il secondo motivo del rifiuto di Mattarella è la determinazione a non prestarsi alle manovre di chi vuole solo sbarrare la strada a Draghi. Giorgia Meloni conferma nell’intervista al Corriere di considerare il premier il vero «convitato di pietra» della corsa al Quirinale. I suoi avversari lo sanno così bene che stanno cercando di fare spuntare tutte le obiezioni possibili di «opportunità» per scoraggiarne la candidatura. Si tratta di veti preventivi, mascherati dall’esigenza di non interrompere la sua esperienza di governo. Eppure, tutti sanno che l’unico modo per non spezzarla, forse, è continuarla trovando un accordo con Draghi per il futuro. I mercati finanziari osservano, e aspettano di capire come finirà.