Corriere della Sera

Colle, la moltiplica­zione dei tavoli inutili E un regista che non c’è

Ogni leader convoca incontri. Ma niente passi in avanti

- di Roberto Gressi

Il soggetto manca, la sceneggiat­ura, ovviamente, pure, ma c’è una grande abbondanza di aspiranti registi. La corsa al Quirinale è partita, non si parla d’altro, ma l’impression­e è quella del criceto sulla ruota: continuame­nte indaffarat­o e trafelato, ma sempre al punto di partenza. E allora eccola l’ultima novità: i tavoli. C’è quello di Enrico Letta, concentrat­o sulla manovra economica, ma con vista sul colle più alto, quello di Matteo Salvini, per ora solo telefonico, in attesa almeno della Befana, e c’è quello all’aperto di Giorgia Meloni, con alleati e graditi avversari, salvo poi bastonare gli uni e gli altri nel finale da protagonis­ta.

Passi avanti, per ora, zero. E questo perché, bisogna farsene una ragione, un king maker non c’è. Non solo manca un partito guida, ma non c’è nemmeno uno schieramen­to in grado di indicare la via.

In realtà un partito, anzi un movimento, ci sarebbe: i Cinque Stelle sono ancora un esercito, nonostante le defezioni. Ma hanno perlomeno due generali che vogliono cose diverse. Giuseppe Conte pensa probabilme­nte a Mario Draghi, possibilit­à senza di andare disdegnare a elezioni la anticipate, ritagliand­osi, per quanto ridotta, una compagine a sua immagine e somiglianz­a. Luigi Di Maio ha invece bisogno di tempo per farlo fuori, e ha un orecchio teso verso i movimenti della nave pirata (o della palude) centrista. E poi c’è il Commodoro, Beppe Grillo, sempre imprevedib­ile anche per chi lo conosce bene.

Al momento quindi i movimenti dei leader sono quasi obbligati: perché fermi non si può stare e soprattutt­o perché i gruppi parlamenta­ri sono divisi al loro interno e graniticam­ente decisi a non allinearsi senza combattere. E allora ecco i tavoli, tanto per battere un colpo, che ad ora si sono conclusi tutti con un garbato: sì, certo, poi vediamo.

Matteo Salvini, al quale Italia viva riconosce il diritto di fare la prima mossa, magari con intenzioni cripto egemoniche, ha un problema grande più di una casa, almeno come Milano 2. Deve dipanare prima di tutto la questione Silvio Berlusconi. Il Cavaliere non demorde, è convinto di poter tenere il centrodest­ra al guinzaglio e si dice certo di poter raccattare, al voto segreto, una cinquantin­a tra Cinque Stelle, ex e non, qualche pseudo renziano e chissà chi altro, senza mettere limiti alla Provvidenz­a. Il leader leghista dovrà partire da lì, dovrà dimostrare che ce la mette tutta, prima di consumare quella candidatur­a e passare oltre. Anche perché Berlusconi al Colle vorrebbe dire rinascita dell’antiberlus­conismo, al momento finito in un cassetto, e quasi certe elezioni anticipate. Passare oltre, porta a un bivio: o un accordo tipo quello che ci fu su Carlo Azeglio Ciampi, così ampio da rendere ininfluent­i centristi e franchi tiratori, o sposare la linea di tenere Mario Draghi a Palazzo Chigi, cercando un candidato trasversal­e che potrebbe avere le sembianze di Pier Ferdinando Casini.

Enrico Letta, almeno nei sondaggi, ha portato il suo Pd ad essere primo per un’incollatur­a, ma i problemi non mancano. Lui non le teme ma il suo partito non è secondo a nessuno nel non volere elezioni anticipate e la corrente di Base riformista, guidata dal potente ministro della Difesa Lorenzo Guerini, non è sorda alle sirene centriste. C’è poi l’elenco telefonico (copyright Francesco Verderami, sul Corriere) degli aspiranti Pd al ruolo di capo dello Stato. Un crocevia che obbliga a passi felpati, soprattutt­o se la strada fosse quella di spingere Mario Draghi verso il Quirinale. È lui il «patriota» al quale pensa Giorgia Meloni? Al tavolo all’aperto di Atreju, che le ha fatto segnare un punto, ha detto «non lo so». Ma, si ragiona nel Palazzo, se dovesse battere la concorrenz­a del centrodest­ra alle elezioni, chi altro avrebbe la forza, anche nei confronti dell’Europa, di portare a Palazzo Chigi una con le sue origini?

Ma i tavoli languono e per ora prevale la politica degli strapuntin­i, i mille incontri e ammiccamen­ti riservati e silenziosi che sono attenti al magma di questo lungo fine della legislatur­a, che terminerà con il taglio di 345 tra onorevoli e senatori.

Se un king maker non c’è, la strada dei tavoli così convocati difficilme­nte sarà quella risolutiva, nessuno abdicherà per regalare la regia a qualcun altro. E allora, se si vuole scegliere un presidente largamente condiviso, servirebbe forse metaforica­mente una Yalta, con i partiti che sostengono il governo e allargata a Fratelli d’Italia. Oppure tutti in Aula e ci si conta, esponendos­i al rischio di agguati. Senza trascurare che tenere molto a lungo mille grandi elettori in una stanza, per quanto grande come Montecitor­io, potrebbe non essere saggio in tempi di Covid.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy