A casa tutti bene
Muccino: racconto dolori e oscuri segreti familiari Un dramma per la tv in cui c’è anche qualcosa di me
La voglia di continuare a raccontare «passioni , impeti e furori» della famiglia Ristuccia era nata già durante le riprese di A casa tutti bene. «Quel film voleva continuare». L’approdo alla serialità, racconta Gabriele Muccino, è stato un passo naturale: il risultato sono gli otto episodi della serie in onda dal 20 dicembre su Sky e in streaming su Now, ma il regista sta già scrivendo con il team di autori guidati da Barbara Petronio la seconda stagione. Un family drama, commedia umana a cuore aperto, narrata «senza smussare spigoli, dolori, sgradevolezze dell’essere, sconfitte, il fatto che i protagonisti siano vinti e incapaci di essere felici tutti insieme e facciano fatica a ammetterlo anche con sé stessi. Non ho voluto patteggiare con un mezzo diverso dal cinema, l’ho portato in tv».
La serie, prodotta da Sky con la Lotus del gruppo Leone, è un meticoloso e spassionato ritratto di famiglia. I Ristuccia, ricchi gestori del San Pietro, uno dei ristoranti più rinomati della capitale: Pietro e Alba (Francesco Acquaroli e Laura Morante) e i tre figli Carlo, Sara e Paolo (Francesco Scianna, Silvia D’Amico e Simone Liberati). E i parenti più prossimi e male in arnese, i Mariani, gli eredi di Maria, sorella di Pietro (Paola Sotgiu): Riccardo (Alessio Moneta), legato a Luana (Emma Marrone) e Sandro (Valerio Aprea). Nel cast anche Euridice Axen, Angelo Folletto, Milena Mancini. E alcuni giovanissimi attori, compreso il piccolo Federico Ielapi, su cui Muccino, già talent scout di una generazione di attori, da Accorsi a Favino, tra gli interpreti del film, assicura di voler puntare. «Il cast è una gemma speciale. Attori autentici e vitali, scelti con grande cura, pensando che dovevano applicarsi al modo di stare al mondo dei personaggi incontrati nel film, non somigliargli ma essere una declinazione di quelle identità», dice Muccino.
«Sono personaggi ispirati a persone da cui ho attinto ampiamente, ne conosco il Dna, sono frutto di carotaggi di vite vissute». A partire dalla sua, ammette. «C’è qualcosa di me, certo, e tratti vicini alle persone che mi sono state vicine fin dalla nascita. Ho il lusso di poter raccontare quello di cui sono il prodotto, ciò che racconto è il risultato della mia vita vissuta. L’indagine che fai su te stesso, sulla tua fatica esistenziale, sui motivi che ti rendono così irrisolto, ma anche così felice, così pieno di voglia di amare, trasparente, l’ho travasata spesso nei miei personaggi. Con la serie puoi farlo in modo più approfondito, disteso e riflessivo. Puoi risalire all’origine, che è sempre quella della nostra infanzia, del rapporto con i nostri genitori che a loro volta si portano dietro complicazioni o conflitti irrisolti». L’esame delle relazioni umane è da sempre il cuore del suo cinema. Con la serialità cambia solo il metodo. «È un grande lavoro di squadra che mi sta appassionando». Con colpi di scena che è bene non svelare. «Il racconto vira nel crime, è stata un’intuizione di Barbara che ho seguito volentieri, un peccato originale che segna la storia di questa famiglia. Mi ha sempre attratto l’oscuro, il black out della ragione per motivi primordiali, la componente più complessa dell’animo umano fin dall’epoca di Caino e Abele».
Già al lavoro per la seconda stagione di A casa tutti bene. La serie, dunque, mentre Sky ha affidato allo stesso distributore internazionale di Gomorra le vendite estere. «Vorrei portare a compimento anche parziale i primi due capitoli — continua Muccino —, girandoli io stesso con un linguaggio che non posso affidare a altro regista perché è troppo personale». Mucciniano, viene da dire. «Sono sempre grato ai miei attori che entrano in questo modo di stare al mondo. Vedo il cinema nello stesso modo in cui vivo la vita: impetuoso, impulsivo, sregolato, trasparente e le ho messe nel cinema e hanno creato un tratto riconoscibile che può essere amato o detestato ma è il mio».
Stefania Ulivi