Bocelli: ospite alla Casa Bianca accolto come un Capo di Stato
A Washington il concerto del tenore per i 10 anni della sua fondazione
WASHINGTON – Un concerto da ventimila spettatori, sei standing ovation, con il palazzetto del basket, la Capital One Arena di Washington, che viene giù quando canta «Con te partirò» e il «Nessun dorma». E poi, sei ore alla Casa Bianca, ospite di Joe e Jill Biden. Un trattamento riservato solo ai Capi di Stato, quelli dei Paesi importanti, però. Così Andrea Bocelli ha festeggiato il decimo anniversario della Fondazione che porta il suo nome.
Domenica, la capitale americana ha accolto Bocelli, 63 anni, con un calore e un affetto speciali. Il «Corriere» lo ha intervistato il giorno dopo.
Lei è uno dei pochi artisti italiani davvero in grado di mobilitare in massa gli americani. Qual è la sua spiegazione?
«Mah...Posso solo dire che tanti anni fa mi sono presentato qui senza alcuna maschera, per quello che sono. Non ho mai cercato di scopiazzare quello che gli americani sanno fare meglio di noi. Ho portato, invece, la cultura italiana, la mia cultura, le mie passioni. E ho fatto la musica che mi piace. Forse contano anche i messaggi delle mie canzoni: ottimisti, positivi, di speranza».
Nelle scorse settimane anche i Måneskin hanno avuto grande successo qui negli Stati Uniti. E’ un buon segnale per la musica italiana?
«Perché no? Mi fido del pubblico, nel senso che il successo di qualunque artista dipende solo ed esclusivamente dal consenso del pubblico. Non conosco benissimo i Måneskin. Sono sempre in giro per il mondo e ho poco tempo per approfondire i nuovi fenomeni musicali. Però credo sia un gruppo da seguire con interesse».
Sabato 12 dicembre lei, sua moglie Veronica e i suoi figli siete stati ricevuti da Joe Biden alla Casa Bianca. Com’è andata?
«Sono rimasto davvero stupito. Non tanto per il fatto di essere con il Presidente degli Stati Uniti. Ne ho incontrati tanti, grazie al lavoro che faccio. Sono rimasto colpito che Biden ci abbia dedicato così tanto tempo. Siamo arrivati alle 10 e siamo andati via alle 16...»
Sei ore. Ma neanche un Capo di Stato...
«Si è sorbito tutte le prove che dovevamo fare con le tv, le nostre performance. Poi ci ha fatto visitare la Casa Bianca, spiegava ogni cosa a mia figlia (Virginia, 9 anni, ha cantato anche lei nel concerto di Washington ndr). Ho avuto modo di parlare con il presidente di tante cose, anche in modo riservato. Ma non dirò nulla su questo»
Le ha chiesto notizie sull’attività sociale della sua
Fondazione?
«Il presidente mi ha detto di essere un mio fan da tanto tempo. Quindi non c’èra bisogno di chiedere nulla. Sono sicuro che farà il possibile per agevolare il lavoro della nostra e delle altre organizzazioni che hanno obiettivi da lui condivisi»
Avete cominciato dieci anni fa...
«Sì, abbiamo iniziato dagli ultimi. Siamo partiti con una grande palestra ad Haiti, poi abbiamo costruito scuole, assicurato istruzione e soprattutto cibo a migliaia di bambini che altrimenti non sarebbero sopravvissuti. Siamo intervenuti in Italia, dopo il terremoto in Abruzzo. Ho detto “noi”, ma in realtà io sono solo un simbolo, un’etichetta di tutto questo lavoro. Credo che ciascuno di noi dovrebbe fare qualcosa nella quotidianità. Anche un piccolo gesto è importante. Lo Stato non è un padre che pensa a tutto. I privati possono fare meglio quando ci mettono il cuore e la volontà. Lo dimostra proprio l’esperienza americana. Spero che l’Italia segua l’esempio..
«Sono rimasto con Biden sei ore e lui mi ha detto di essere un mio fan da tanto tempo»
Avete fatto qualcosa nella crisi Covid?
«Certo. La Fondazione ha subito distribuito mascherine, respiratori e altro dove c’era bisogno. Mi fa ridere che qualcuno pensi che io sia un negazionista del virus. Dopodiché, mi colpisce il fatto che gli americani siano tornati ad affollare i teatri, le sale da concerto. Non so se sia coraggio o disincanto. Da noi non accade. Mi pongo delle domande, ma per ora non ho risposte».