Luis Scola «Io studio Nba, Atalanta e altri modelli Voglio Varese in Europa»
VARESE Scherza. «Al momento non ho stipendio, mi accontento di una scrivania e di un pc. Però reclamerò una macchinetta per il caffè, questa che mi ha ceduto coach Adriano Vertemati è una baracca...». Ore nove del mattino, Luis Scola, olimpionico con l’Argentina e campione planetario di basket, è già nel ventre del palasport di Masnago, dove l’esperienza di amministratore delegato (esordiente) della Pallacanestro Varese procede tra apprendistato, i tormenti di una squadra coinvolta nella zona calda della classifica e un progetto per riportare in alto il club. Il piano quinquennale rappresenta l’architrave della missione di «El General».
Aveva mai immaginato di guidare una società di basket?
«Confesso di sì. Amo questo sport e ho sempre pensato, da giocatore, al “dopo”. Ma ho escluso di diventare allenatore: non sono adatto».
È più facile o più difficile di quello che pensava?
«È un mix di entrambi gli scenari: un conto è giocare e un altro amministrare, ma posso farcela. L’aspetto più complicato? Organizzare l’ufficio con i tempi giusti».
Si dice: Scola guarda al modello Nba, ha idee belle, ma troppo avanzate. Che cosa replica?
«Che il problema non è pensare a un progetto difficile, ma programmarne uno facile. Come dicono negli Usa, make it happen: ecco la sfida».
Il basket italiano è pronto?
«Sì, l’Olimpia Milano e la Virtus Bologna lo stanno già dimostrando. E pure altri club hanno idee interessanti. Nel basket tutto succede prima nella Nba, poi nell’Eurolega e infine nei campionati nazionali. Tuttavia è possibile anticipare gli eventi. Guardare oggi alla Nba è come guardare al futuro. In Italia
Dalle schiacciate ai conti
Non ero adatto a fare l’allenatore, meglio manager. Milano e Virtus hanno cambiato il basket italiano Noi le imiteremo, il potenziale c’è siamo troppo conservatori, bisogna avere coraggio: Milano e la Virtus fanno quello che la Nba faceva 15 anni fa».
Varese ha una storia gloriosa, ma i tempi sono cambiati: come farà a cambiare passo?
«Le risorse non sono a livello di Milano o Bologna, però potremo migliorarle. C’è poi una lista di iniziative che non facciamo solo perché non le abbiamo mai considerate. Sono compatibili con i nostri mezzi e serve uno sforzo comune per attuarle».
Il territorio deve dare di più?
«Sì, ma anche noi siamo in debito nei suoi confronti».
Lei ha una società con alcuni amici, come Zanetti e Cambiasso. La coinvolgerà nella Pallacanestro Varese?
«No, l’unico mio interesse oltre a questo club riguarderà l’azienda agricola che ho in Argentina».
È intenzionato a rilevare ogni anno il 10% delle quote della società: nel futuro vorrà avere la maggioranza?
«Il consorzio “Varese nel cuore”, l’iniziativa “Orgoglio Varese” e il trust dei tifosi “Il basket
siamo noi” resteranno centrali. Ma servirà, senza perdere lo spirito sportivo, una gestione più moderna, una struttura più aziendale, ampia e solida».
La marcia è anche sull’Europa...
«Cercheremo di essere sempre più simili alle squadre dell’Eurolega. Inoltre Varese dovrà tornare a sfornare talenti, meglio se locali: coinvolgere la comunità sarà imprescindibile e il vivaio tornerà sotto il nostro pieno controllo e voglio un modello simile a quello dell’Atalanta nel calcio».
A Varese lei ha giocato e ha preso casa. Ma che cosa l’ha convinta a tuffarsi nell’avventura da dirigente?
«Un club storico, ancora nel top 5 d’Europa, che non ha perso il potenziale».
Si è trovato in mezzo alle questioni con Attilio Caja e Andrea Conti: il primo, allenatore, esonerato da Varese alle porte della scorsa stagione; il secondo, general manager, uscito di scena volontariamente dopo il suo avvento. Scola è un tipo scomodo?
(Sorriso e gesto di disappunto). «È un’idea sbagliata. Attilio è un coach esigente, però io ero abituato e con lui non ho avuto alcun problema. Vale anche per Andrea: è stata una scelta sua; mi spiace, non gli avrei tolto spazio. Ma ora dobbiamo guardare avanti». Varese zoppica: e se retrocedesse?
«Abbiamo un progetto a lungo termine. Se finiremo in A2, rallenterà, ma se rimonteremo e andremo magari ai playoff, rispetterà i tempi. Nessuno perda la fiducia». In primavera partirà il profondo restyling del palasport.
«È un pilastro fondamentale del piano: il palazzo diventerà un “hub” sportivo e culturale, con spazi per eventi e un museo». Pensando al basket europeo, quale modello le piace?
«Da giocatore, ho apprezzato molto quello dell’Olimpia».
Come se la cavava con i numeri da studente?
«In matematica non ero un asso. Poi ho fatto dei corsi. E non ho ancora finito di studiare».