Con Sky Sport l’affabulazione televisiva è diventata un genere
Meno dirette, più racconti. A Sky Sport va di moda l’affabulazione (il termine storytelling fa venire l’orticaria), in video e in podcast. Ci pensavo l’altra sera, seguendo una puntata di L’uomo della domenica di Giorgio Porrà, dedicata a Paolo Rossi. Con Lo sciagurato Egidio, Porrà è stato il primo a inaugurare questa tecnica di racconto televisivo, molto in uso fra scrittori che si interessavano di sport (uno su tutti: Mario Soldati) o fra giornalisti che aspiravano a diventare scrittori (uno su tutti: Gianni Brera).
In Rai c’era stato qualche tentativo da parte di Sergio Zavoli, poi c’è stata la lunga stagione di
Sfide di Simona Ercolani (lo sport assume aspetti di un’epica moderna non dedicata esclusivamente ai grandi campioni), ma la tecnica dell’affabulazione televisiva è diventata genere con Sky Sport: Giorgio Porrà, appunto, Federico Buffa e ora anche Matteo Marani e Paolo Condò.
Non tutti sono sullo stesso livello, c’è chi si compiace di allisciare il proprio ego, ma ciò che più importa è il cambiamento della narrazione sullo sport.
In video, alla parola si uniscono le immagini, la musica (si parla dell’amore di Enzo Bearzot per il jazz e sotto parte un Paolo Conte da favola), gli spezzoni cinematografici, le citazioni. Per questo, anche il giornalismo scritto ha dovuto sempre di più rinunciare alla cronaca spiccia (bruciata inevitabilmente dalle dirette televisive) e reinventarsi l’evento come racconto, cioè ritrovare quella forza simbolica o metaforica che sta al centro di infinite narrazioni, da Omero fino ai giorni nostri.
Quando non c’era la televisione, i racconti più belli sullo sport, in particolare quelli sul ciclismo, sono stati scritti da giornalisti che si facevano raccontare da un collega le fasi salienti, riservandosi (in albergo) il ricamo, la costruzione della storia.