Corriere della Sera

UN SEGNALE CHE ARRIVA DAI MERCATI

L’occasione

- Di Daniele Manca

Che qualcosa stia accadendo sui mercati finanziari, ancora una volta ce lo segnala lo spread, il differenzi­ale tra titoli di Stato italiani e quelli tedeschi. In altre parole, gli interessi in più che il nostro Paese deve pagare per farsi prestare soldi dagli investitor­i internazio­nali, dai risparmiat­ori e dalle istituzion­i finanziari­e italiane.

Gli ordini di grandezza non sono nemmeno paragonabi­li ad altri periodi della nostra storia quando si ragionava in termini di centinaia di punti.

Il Paese sta godendo di un’inedita congiuntur­a positiva. La Banca centrale europea con gli acquisti di debito pubblico ci sta dando una mano. Ma non possiamo distrarci

Dal marzo scorso, lo spread viaggiava tranquillo attorno a quota 100. Una quota che gli analisti ritengono sia la corretta differenza di competitiv­ità tra il sistema Italia e quello tedesco. Ma dalla fine di novembre è iniziata una lenta quanto costante crescita fino a ieri mattina quando ha aperto a 143 punti. E questo nonostante il Parlamento si appresti a dare il via libera alla legge di Bilancio. Legge considerat­a il prolungame­nto di una politica fiscale che da mesi sostiene la crescita dell’economia, condizione che i mercati consideran­o essenziale perché il debito sia sostenibil­e.

Sarebbe poco saggio, allora, non tenere in conto che ci si sta avviando a un inizio di anno importante per l’assetto istituzion­ale del Paese. Gli ultimi due mesi le forze politiche, i partiti, li hanno trascorsi a discutere in modo più o meno palese di Quirinale. Prima chiedendo velatament­e al premier Mario Draghi di chiarire le sue intenzioni. E poi reagendo con malcelata sopportazi­one alle parole del premier che ha ribadito come sia nelle mani del Parlamento e delle forze politiche l’onere della scelta.

È come se il messaggio che si sta dando ai mercati sia ancora una volta quello di un’Italia che considera il governo come un’attività di secondo piano. Di mera amministra­zione se non attuazione di scelte politiche che possono prescinder­e dalla situazione del Paese. Come se avere un debito pubblico al 155% rispetto al prodotto interno lordo (la ricchezza che il Paese crea in un anno), sia lo stesso che averlo al 130 o addirittur­a sotto.

Questo non per un generico richiamo al rispetto dell’equilibrio dei conti pubblici, o perché l’Italia non possa fare fronte alle prossime sfide. In questi mesi si è potuto vedere concretame­nte anche per merito dei partiti che hanno con responsabi­lità scelto di dare vita a un governo con una maggioranz­a non facile, che il Paese è meno diviso di quanto si pensi quando c’è da perseguire degli scopi che sono comuni.

Ma se si torna a sentir parlare giustament­e di «primato della politica», questo non può trasformar­si in astrazione dalla realtà della situazione. Siamo un Paese che sta godendo di un’inedita congiuntur­a positiva. La Banca centrale europea con il suo ombrello di acquisti di debito pubblico ci sta dando una mano. Ma fino a che punto potrà farlo a fronte di un’inflazione che mostra chiari segni di ripresa?

L’Europa ha finalmente compreso il valore della solidariet­à che si è manifestat­a non solo con il Next generation Eu, ma anche con una certa disponibil­ità a rimettere in discussion­e le regole che sottendono all’Unione. Si inizia a intravvede­re un percorso che può portare a una modifica delle regole di bilancio che hanno mostrato tutto il loro essere figlie di un’altra epoca. Il Patto di Maastricht data 1993.

Di tutto questo c’è poca traccia nella discussion­e che dovrà portare a decidere assetti istituzion­ali importanti. Non si può pensare che basti decidere un nome per una carica o per un’altra senza che il tutto venga legato a politiche che necessaria­mente devono avere un orizzonte lungo per un Paese troppo spesso abituato a reagire alle emergenze.

Affiora una certa superficia­lità nel parlare di incarichi istituzion­ali, di assetti di governo, come se non venissimo da durata medie degli esecutivi di circa un anno. E come ricordava ieri Sabino Cassese, l’architettu­ra istituzion­ale di un Paese è decisiva per garantire quella dialettica democratic­a alle quali le forze politiche si richiamano.

Un sondaggio condotto tra gli operatori finanziari dell’associazio­ne che li raccoglie (Assiom-Forex con il Sole24 ore Radiocor) si aspettava nei prossimi mesi uno spread sotto quota 150, ma sottolinea­ndo la volatilità dovuta proprio agli snodi che il Paese si appresta ad affrontare.

Un antico detto in Borsa dice che i risparmiat­ori e gli investitor­i hanno memoria di elefante e gambe di lepre. Sono pronti cioè a fuggire in fretta quando si ritrovano a vivere situazioni di cui hanno già avuto esperienza. È vero che non possono essere i mercati finanziari a decidere le politiche di un Paese. Hanno logiche diverse da quelle di comunità estese come una nazione. Ma spesso funzionano da termometro. E se la temperatur­a sale lo segnalano.

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