Corriere della Sera

Mattarella, i discorsi di un settennato

- di Marzio Breda

La presidenza di Sergio Mattarella nei discorsi di fine anno. Dalla Repubblica di cui tutti devono prendersi cura, era il 2015, al tempo dei costruttor­i (e dei vaccini) con il Covid, l’anno scorso. Sei notti di San Silvestro, censure, moniti e richiami preventivi.

Fosse dipeso da lui, in una situazione normale Sergio Mattarella si sarebbe rivolto agli italiani come parla in privato. Con un linguaggio preciso e trasparent­e, anche ironico e ricco di riferiment­i culturali, senza preoccupar­si di fasciare le inevitabil­i riflession­i politiche. Ma nei messaggi di fine anno che ha pronunciat­o finora dal Colle questo non gli è stato quasi mai possibile. L’ininterrot­ta crisi del Paese — crisi quasi di sistema, ormai — lo ha costretto a esprimere di volta in volta censure, avvertimen­ti, richiami preventivi e indirizzi di comportame­nto che probabilme­nte si sarebbe risparmiat­o, entrando nella notte di San Silvestro

Con il suo garbo mite è stato quasi «costretto» ai richiami politici da questa crisi perenne

nelle case della gente comune. Si è sentito costretto a farlo, e l’ha fatto, andando un po’ oltre lo stile einaudiano che gli sarebbe congeniale e imponendos­i di dire tutto ciò che va detto. Sia pure con un garbo levigato e mite, in modo da non risultare troppo diretto e far così dubitare della propria neutralità.

Esempio perfetto di questa sua misura sal

data alla fermezza, il saluto del 2018. Quando si trovò a sedare certi deragliame­nti istituzion­ali dell’autoprocla­mato «governo del popolo» (quello dell’alleanza tra 5 Stelle e Lega) chiamando a raccolta «i buoni sentimenti che migliorano la società».

Messaggio «buonista» e, in quanto tale, dolciastro e retorico, sentenziò qualcuno. Invece fu apprezzato dagli italiani proprio per la sua cifra di sincerità e verità. Perché, venendo da lui, quelle erano parole credibili come risultano credibili i suoi cenni al concetto di Statocomun­ità che spesso evoca e nel quale non hanno spazio le reciproche delegittim­azioni e il dileggio di tutti contro tutti cui ci siamo assuefatti. Un altro caposaldo dei discorsi di Mattarella è la Costituzio­ne, da intendersi come carta di valori e principi che ci sospingono verso una forma di «democrazia progressiv­a», da perfeziona­re nel tempo. Il che — secondo la traduzione del presidente — «ci ha consentito di sviluppare diritti e responsabi­lità diffuse… un compito non ancora concluso».

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Per il suo primo discorso di fine anno, il 31 dicembre 2015, il presidente Sergio Mattarella scelse di parlare agli italiani da una poltrona, non più dietro al tavolo dello studio ufficiale come i suoi predecesso­ri, superando una prassi ultradecen­nale
(Francesco Ammendola/Ansa) L’esordio Per il suo primo discorso di fine anno, il 31 dicembre 2015, il presidente Sergio Mattarella scelse di parlare agli italiani da una poltrona, non più dietro al tavolo dello studio ufficiale come i suoi predecesso­ri, superando una prassi ultradecen­nale

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