Match ai cinesi nella guerra sul marchio della «Vespa»
Contropiede cinese nella partita europea sul marchio tridimensionale «Vespa»: la V Commissione Ricorsi dell’Ufficio per la proprietà intellettuale dell’Unione europea (Euipo) ha ribaltato il verdetto che il 21 dicembre 2021 aveva invece respinto la richiesta della cinese Znen Zhejiang Zhongneng Industry di nullità del marchio tridimensionale di Piaggio sulla forma dello scooter Vespa. Il duello dura dal 2013, quando Piaggio ottiene il sequestro di tre scooter esposti dai cinesi a Milano alla Fiera del Motociclo (Cityzen, Revival e Ves). I cinesi ribattono che due erano già registrati e si rivolgono sia al Tribunale di Torino sia all’Euipo. Ma Torino dà loro torto, come peraltro la Francia che pure riconosce a Piaggio il diritto d’autore; e nel 2021 anche l’Euipo-Divisione Annullamento rigetta l’istanza e conferma la cumulabilità delle tutele per una stessa forma come marchio e disegno o modello industriale. Solo che ora ad essere accolto è il ricorso dei cinesi contro la tesi di Piaggio che lo scudo «a freccia», la forma rovesciata nel raccordo fra sella e pedana, e la forma ad «X» tra le bombature laterali e il sottosella siano caratteristiche distintive della Vespa rispetto a altri scooter. No, valuta l’ufficio europeo, «nessuna delle caratteristiche visibili, per quanto di indiscusso
La motivazione Per l’ufficio europeo il disegno dello scooter italiano non sarebbe «distintivo»
pregio estetico, fanno concludere che la forma diverga in modo significativo dalle forme usuali di uno scooter»: possono «essere percepite dal pubblico come originale ornamento, ma non come un’indicazione dell’origine commerciale dei prodotti». E nemmeno si può dire che lo siano divenute tra i consumatori europei nel corso degli anni, perché per la Commissione le tabelle Excel proposte da Piaggio (volumi, fatturati, quote di mercato, investimenti) sono riferite solo a 12 Paesi su 27, e di «affidabilità discutibile in mancanza di documenti ufficiali». Piaggio, che adesso controricorrerà al Tribunale dell’Unione Europea, obietta che è in realtà la Commissione a cadere in una grave svista: perché i dati – spiega il legale Filippo Jacobacci –, oltre a coprire l’83% della popolazione europea, vengono tutti da registri pubblici, indicati tra le fonti, consultabili online.