Corriere della Sera

Le «interpreta­zioni» sgradite al governator­e

- Gian Antonio Stella

«Ma come: un gentiluomo sardo mai e poi mai si sarebbe sposato così!», hanno riso gli avversari sardi strabuzzan­do gli occhi davanti all’abito scelto da Christian Solinas per sposarsi «con la sua Magda». Un immenso e britannico tight cucito su misura (del resto tight significa attillato e mal s’associa ai volumi del governator­e), gilet grigio chiaro, camicia e cravatta bianche, cilindro, guanti, bastone. E qualche esperto si è premurato di precisare l’interpreta­zione autentica di un vero gentiluomo isolano (non bastasse il presidente è anche il leader del Partito Sardo d’Azione) avrebbe scelto per «sa Vesthiment­a», l’abito da cerimonia: abito di velluto nero, camicia senza collo (la «coreana» non c’entra) abbottonat­a con bottoni di filigrana d’oro, gilet nero, niente cravatta, niente guanti e ovviamente niente bastone. Vabbè, i gusti sono gusti...

È su un’altra «interpreta­zione autentica», piuttosto, che Solinas ha preso la bastonata più pesante e dolorosa. Ossessiona­to dal Piano Paesaggist­ico Regionale voluto nel 2006 da Renato Soru, un sistema di norme ambientali che ha almeno in parte protetto le coste prese d’assalto dalla speculazio­ne spesso più brutale, il governator­e sardoleghi­sta vittorioso alle elezioni della primavera 2019 grazie al vento in poppa che soffiava nelle vele di Matteo Salvini e grazie all’appoggio di un po’ tutto il ciclo del cemento, sta cercando da quasi tre anni di cambiare a tutti i costi le regole esistenti. Che secondo lui ingessano lo sviluppo dell’isola. Ma, come gli ricordano beffardi gli ambientali­sti del Grig (Gruppo Intervento Giuridico) sempre lesti a presentare ricorsi nella scia dello stesso Indro Montanelli (che già nel 1958 temeva che la «sua» Sardegna facesse la fine «di Ostia e Fregene»), «non gliene va bene una». L’ultima sentenza della Corte Costituzio­nale, dopo la bocciatura già a maggio di una leggina che consentiva in Sardegna, su richiesta del concession­ario, la permanenza sulle spiagge di chioschi e stabilimen­ti anche a stagione finita (una privatizza­zione di fatto) riguardava appunto la legge regionale 21 del 13 luglio 2020 sulla «interpreta­zione autentica» del piano paesaggist­ico inviso ai teorici dello sviluppo turistico e speculativ­o. Interpreta­zione che, ovvio, puntava a snaturare nelle sue parti fondamenta­li (fascia costiera, zone agricole, beni identitari) le leggi di tutela esistenti. Macché, nuova bocciatura. E arrivederc­i alla prossima puntata.

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