Le «interpretazioni» sgradite al governatore
«Ma come: un gentiluomo sardo mai e poi mai si sarebbe sposato così!», hanno riso gli avversari sardi strabuzzando gli occhi davanti all’abito scelto da Christian Solinas per sposarsi «con la sua Magda». Un immenso e britannico tight cucito su misura (del resto tight significa attillato e mal s’associa ai volumi del governatore), gilet grigio chiaro, camicia e cravatta bianche, cilindro, guanti, bastone. E qualche esperto si è premurato di precisare l’interpretazione autentica di un vero gentiluomo isolano (non bastasse il presidente è anche il leader del Partito Sardo d’Azione) avrebbe scelto per «sa Vesthimenta», l’abito da cerimonia: abito di velluto nero, camicia senza collo (la «coreana» non c’entra) abbottonata con bottoni di filigrana d’oro, gilet nero, niente cravatta, niente guanti e ovviamente niente bastone. Vabbè, i gusti sono gusti...
È su un’altra «interpretazione autentica», piuttosto, che Solinas ha preso la bastonata più pesante e dolorosa. Ossessionato dal Piano Paesaggistico Regionale voluto nel 2006 da Renato Soru, un sistema di norme ambientali che ha almeno in parte protetto le coste prese d’assalto dalla speculazione spesso più brutale, il governatore sardoleghista vittorioso alle elezioni della primavera 2019 grazie al vento in poppa che soffiava nelle vele di Matteo Salvini e grazie all’appoggio di un po’ tutto il ciclo del cemento, sta cercando da quasi tre anni di cambiare a tutti i costi le regole esistenti. Che secondo lui ingessano lo sviluppo dell’isola. Ma, come gli ricordano beffardi gli ambientalisti del Grig (Gruppo Intervento Giuridico) sempre lesti a presentare ricorsi nella scia dello stesso Indro Montanelli (che già nel 1958 temeva che la «sua» Sardegna facesse la fine «di Ostia e Fregene»), «non gliene va bene una». L’ultima sentenza della Corte Costituzionale, dopo la bocciatura già a maggio di una leggina che consentiva in Sardegna, su richiesta del concessionario, la permanenza sulle spiagge di chioschi e stabilimenti anche a stagione finita (una privatizzazione di fatto) riguardava appunto la legge regionale 21 del 13 luglio 2020 sulla «interpretazione autentica» del piano paesaggistico inviso ai teorici dello sviluppo turistico e speculativo. Interpretazione che, ovvio, puntava a snaturare nelle sue parti fondamentali (fascia costiera, zone agricole, beni identitari) le leggi di tutela esistenti. Macché, nuova bocciatura. E arrivederci alla prossima puntata.