Corriere della Sera

I TIMORI SUI PREZZI IN SALITA

- Di Danilo Taino

L’ultima volta, prima di oggi, che l’inflazione italiana è stata attorno al 4% era il 1996. E in quell’anno il tasso ufficiale di sconto (così si chiamava il tasso d’interesse fissato dalla Banca d’Italia) era del 7,50%. Lo scorso dicembre, l’aumento dei prezzi è stato del 3,9% in Italia e del 5% nell’Eurozona, numeri preoccupan­ti, ben al di sopra del limite del 2% che è l’obiettivo della Banca centrale europea. Normalment­e, come 25 anni fa, quando i prezzi corrono i banchieri centrali si affrettano a rialzare il costo del denaro. Oggi, però, i tassi, ribaditi dalla Bce un mese fa, variano tra il meno 0,50% e il più 0,25%. Un mondo di differenza. Cosa è cambiato? L’inflazione non fa più paura? A Francofort­e, i banchieri centrali sanno qualcosa che noi non sappiamo? L’economia funziona in modo diverso rispetto a 25 anni fa?

Che un’inflazione fuori controllo sia un problema serio è vero adesso come allora. Innanzitut­to, aumenta i costi per le famiglie e per le imprese. Di conseguenz­a, crescono le domande di migliorame­nti salariali: negli Stati Uniti, dove l’inflazione è al 7% (record dal 1982) e la disoccupaz­ione è molto bassa, sono già evidenti le tensioni nel mercato del lavoro. Ciò crea un circolo vizioso, una rincorsa di aumenti che radica e rende stabile anche un’inflazione nata come momentanea. Inoltre, l’inflazione tende a sfavorire i creditori a vantaggio dei debitori, con il risultato di disincenti­vare i prestiti fino a quando non si è ristabilit­o un equilibrio tra aumento dei prezzi e tassi d’interesse.

Negli anni scorsi, soprattutt­o dal 2012, le politiche monetarie delle banche centrali hanno combattuto il rischio opposto, la deflazione, cioè il calo dei valori, ritenuta estremamen­te pericolosa. Ora, di fronte alla crescita globale dell’inflazione, devono — o dovranno — svoltare di 180 gradi, con il risultato che il rialzo dei tassi d’interesse rallenterà la ripresa economica e potrebbe sgonfiare Borse, titoli finanziari e immobili. Con una difficoltà non indifferen­te: non tutti sono d’accordo nell’individuaz­ione dell’origine della spinta inflazioni­stica in corso nelle economie avanzate.

Di certo, dipende in parte dai colli di bottiglia che si sono creati nelle catene globali di fornitura a causa dei lockdown dei due anni passati e dalle tensioni geopolitic­he. Ma c’è chi alle cause aggiunge le conseguenz­e delle scelte dei governi sulla transizion­e energetica, le quali hanno l’effetto di avere abbassato gli investimen­ti nell’estrazione di idrocarbur­i e quindi di averne ridotto l’offerta. E molti altri ritengono che l’origine stia soprattutt­o nell’enorme massa di denaro creata dagli stimoli fiscali e monetari effettuati da governi e banche centrali prima e durante la pandemia.

Mentre la Fed americana e la Bank of England hanno già chiarito che nel 2022 aumenteran­no più volte i tassi, la Bce si sta mostrando molto più restia a cambiare politica: il suo stimolo monetario rimane estremamen­te cospicuo. Ufficialme­nte, perché ritiene l’attuale aumento dei prezzi temporaneo, già sotto al 2% alla fine di quest’anno e all’1,8% nel 2023 e nel 2024. Qui, l’istituzion­e guidata da Christine Lagarde si prende un rischio. Sui mercati, la convinzion­e è che, in realtà, la Bce non sia aggressiva nel ridurre lo stimolo e ad alzare i tassi perché ci sono Paesi che hanno debiti pubblici alti: oltre all’Italia al 155% del Pil e la Grecia al 206%, anche la Spagna al 122%, la Francia sopra al 115% e il Portogallo al 127%. Un rialzo dei tassi aumentereb­be il costo del servizio del debito.

Questa posizione, però, è destinata a creare divergenze con altri Paesi dell’Eurozona, in particolar­e con la Germania che ha un debito di poco superiore al 70% e un’inflazione al 5,3%, ai massimi dal 1992. Pochi giorni fa, Joachim Nagel ha debuttato come presidente della Bundesbank sostenendo che probabilme­nte l’inflazione rimarrà più alta delle attese, che ciò fa perdere potere d’acquisto alle famiglie e si è chiesto: «la politica monetaria larga è ancora appropriat­a?». Un’altra tedesca, il membro del comitato esecutivo della Bce Isabel Schnabel, sostiene che la transizion­e verso l’energia pulita crea il rischio che gli aumenti dei prezzi rimangano elevati nel medio periodo. Il governo di Berlino potrebbe avere idee diverse dai banchieri centrali tedeschi, ma nella Bce il confronto sulle aspettativ­e d’inflazione e sul costo del denaro sarà probabilme­nte accesso, nei prossimi mesi. E potrebbe creare incertezze in Paesi con debito pubblico elevato. Difficilme­nte vedremo tassi d’interesse ufficiali del 19% come nel 1981 in Italia. Ma oggi, con il debito pubblico così alto e con mercati finanziari aperti e sensibili, ogni battito d’ali può creare terremoti.

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