Al Quirinale, poi un’ora da Fico L’agenda «fitta» di Draghi
«Incontri istituzionali». Le voci di un confronto sui numeri in Aula. E vede Cartabia
temono come la peste il voto anticipato, Fico avrebbe illustrato a Draghi i numeri degli schieramenti in vista delle votazioni sul Quirinale. E il presidente del Consiglio gli avrebbe chiesto se i gruppi del M5S potranno mai convergere sul suo nome, dopo che ai parlamentari Giuseppe Conte ha detto «Draghi deve restare al governo».
Per gli staff di Fico e Draghi
sono tutte illazioni. La formula-fotocopia concordata tra i portavoce di Chigi e Montecitorio è secca: «Consueto incontro istituzionale». Resta da spiegare il colloquio tra Draghi e Cartabia e qui la risposta ufficiale viene facile, perché oggi alle 9 la ministra terrà la relazione sull’amministrazione della Giustizia. Insomma, la versione di Chigi è che il capo del governo non ha
voluto inviare alcun segnale politico ai partiti e al Parlamento e non c’è alcun lavorìo di tessitura per favorire la sua ascesa al Colle e costruire un nuovo governo. E se non sono in agenda incontri con Letta, Conte, Salvini, Berlusconi, Renzi e Speranza è perché Draghi non si è candidato al Quirinale e nessuno lo ha candidato. Un solo concetto, che suona come un avvertimento
ai leader dei partiti, il premier non si stanca a porte chiuse di ribadire: «La maggioranza non si deve spaccare, altrimenti mandare avanti il governo sarà impossibile».
A palazzo Chigi si lavora sul caro bollette e sui sostegni economici, ma sarebbe surreale pensare che non si tengano d’occhio le manovre nel centrodestra, epicentro del terremoto Berlusconi. Nessuno dei due schieramenti ha i numeri per farcela da solo. E se l’anziano ex premier si arrende al passo indietro e decide di uscirne da uomo di Stato, come gli ha suggerito Gianni Letta prima e dopo aver incontrato il capo di Gabinetto di Draghi, Antonio Funiciello, può aprirsi la via a un presidente della Repubblica condiviso. Soluzione che piacerebbe a Base riformista, la corrente Pd guidata, guarda caso, da Guerini.
Dal Senato, il dem Luigi Zanda osserva preoccupato i tormenti dei partiti e ricorda che «Draghi è una personalità a cui l’Italia deve molto, ha salvato l’euro e ha accettato di fare il premier un anno fa evitando le elezioni anticipate». Conclusione e monito di Zanda: «Il premier non deve essere usato per giochi politici».