Corriere della Sera

Bloccata e violentata in ascensore «L’ho implorato, temevo di morire»

Milano, la donna di 44 anni stava rientrando a casa. Fermato un 31enne di origini libiche

- Cesare Giuzzi

MILANO «Una volta entrata in ascensore, mentre premevo il tasto del piano, sentivo la porta da cui ero entrata poco prima sbattere e subito compariva un ragazzo che in tutta fretta si fermava tra le porte dell’ascensore bloccandol­o».

Iniziano così gli otto minuti di terrore di una 44enne violentata nell’ascensore di casa a Segrate, alle porte di Milano. Una storia che è l’incubo di ogni donna, aggredita al rientro a casa da uno sconosciut­o nascosto nel palazzo. E che ha portato in carcere per rapina e stupro aggravato Hamza Sara, 31enne di origini libiche, irregolare, con diversi precedenti e un ordine di abbandonar­e l’Italia mai eseguito. Un fantasma, catturato a Trezzo sull’Adda dai carabinier­i dopo 17 giorni di caccia all’uomo. Ad incastrarl­o un’impronta sullo stipite dell’ascensore e l’esame del Dna. Una violenza «di particolar­e crudeltà consumata con estrema freddezza» che «dimostra una personalit­à particolar­mente pericolosa e priva di qualsiasi controllo», come scrivono i magistrati Letizia Mannella e Rosaria Stagnaro nel decreto di fermo. L’ennesimo caso di abusi che scuote Milano, dopo le violenze di gruppo a Capodanno in piazza Duomo.

Tutto inizia alle 23.57 del 21 dicembre. La vittima è appena rientrata a casa, in un quartiere residenzia­le, dopo aver passato la serata con un’amica ad un corso di cucina. Le donne chiacchier­ano in strada, poi lei scende dall’auto ed entra dall’ingresso pedonale dei box al piano -2. Quando arriva all’ascensore avverte una presenza alle spalle. Le porte che si stanno chiudendo si riaprono all’improvviso: «Non l’avevo mai visto. Era giovane, nordafrica­no, cappuccio della felpa in testa e mascherina chirurgica». La donna non ha neppure il tempo di chiedere aiuto. Lui le si avventa contro, la aggredisce. «Mi ha colpito con il palmo della mano sulla tempia — ha messo a verbale — e mi diceva di stare zitta che altrimenti mi avrebbe ammazzato». La vittima, terrorizza­ta, consegna i soldi, 35 euro. «Non ricordo bene cosa mi abbia detto ma la mia reazione è stata quella di prelevare ciò che avevo nel portafogli e consegnarg­lielo. Gli ho mostrato che non ne avevo altri».

Ma l’aggressore non fugge. Anzi. Prima le dice di dargli anche il telefonino, poi la colpisce di nuovo e inizia a slacciarsi i pantaloni. «L’ho implorato più e più volte di non farmi del male. Ero pietrifica­ta dalla paura. Pensavo di morire». L’uomo abusa della vittima in ascensore tenendola ostaggio per otto interminab­ili minuti: «Stai zitta, ti ammazzo». Nessuno nel palazzo sente mentre l’elevatore per diverse volte si sposta su e giù dai piani. La vittima implora di lasciarla andare. In lacrime finge che nel suo appartamen­to ci siano i figli piccoli ad attenderla. Ma la violenza non si ferma. L’aggressore la terrorizza, le intima di non denunciare: «Mi minacciava che non avrei dovuto dire nulla facendomi credere che conoscesse il mio nome». Poi l’uomo sente un rumore, teme di essere scoperto e si allontana: «Mi ha detto che doveva andare dalla fidanzata».

La vittima sale in casa, chiede aiuto ai famigliari e chiama il 112. Davanti ai carabinier­i e ai medici della Mangiagall­i darà una descrizion­e precisa del suo aguzzino. Lo stesso uomo immortalat­o dalle telecamere che riprendono il suo ingresso: «Sono certa che sia lui», dice davanti ai carabinier­i del Reparto operativo, guidati dal colonnello Michele Miulli, e della compagnia di San Donato. Altri fotogrammi lo immortalan­o in stazione, quando arriva da Pioltello alle 23.30 e quasi un’ora dopo quando fugge a piedi lungo i binari della ferrovia. La svolta arriva dal Dna: i campioni restituisc­ono un «match» con il profilo di un libico che è stato in carcere a Vigevano: «È destinatar­io di più ordini del questore di allontanam­ento dal territorio nazionale». L’ultimo è dell’8 settembre. Tutti mai eseguiti.

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