Il giudice e la «reazione impulsiva» Niente ergastolo per il femminicidio
Gianluca Lupi, 42 anni, l’8 maggio del 2020 ha ucciso con undici coltellate e una lama da venti centimetri la compagna Szuzsanna Mailat, ai tempi 38enne, nella loro casa di Milzano, nel Bresciano. Al piano di sopra, la primogenita Caroline, 14enne, stava facendo il bagno ai fratellini di sette e quattro anni. Il 20 dicembre scorso, l’uomo è stato condannato a 24 anni, anziché all’ergastolo chiesto dal pm, e gli sono state riconosciute le attenuanti generiche, senza l’aggravante dei futili motivi. Le motivazioni sono nella sentenza depositata un paio di giorni fa nel Tribunale di Brescia, scritte dal presidente della Corte d’Assise Roberto Spanò. Lupi ha ammesso di aver perso il controllo dopo una risposta stizzita della compagna. Era geloso. Ma la sua gelosia non è stata considerata un futile motivo: «Si è in presenza di una motivazione certamente illogica e criticabile, ma non per questo vacua e banale». E le attenuanti generiche? «Lupi ha agito in base ad una reazione impulsiva e non invece con premeditazione». Si deve peraltro tener conto delle «vicissitudini pregresse del nucleo famigliare, “coeso almeno fino alla nascita dell’ultimogenito, portatore di grave disabilità (...), polarizzando l’attenzione della madre sulle esigenze del figlio disabile e spingendola a ricercare un qualche spiraglio di evasione (...)». Non è finita. Perché bisogna anche capire che quando Lupi ha chiesto un chiarimento all’uomo frequentato dalla compagna, quest’ultimo, «anziché accettare il confronto e rassicurarlo, ha assunto un atteggiamento di chiusura spavaldo e indisponente». E allora forse sono questi i passaggi più intollerabili della sentenza che ha puntualizzato come «non c’è un insuperabile argine normativo che imponga alla Corte di appiattirsi sull’equazione “uxoricidio-ergastolo”». È la «narrazione», come usa dire adesso, fin troppo comprensiva verso l’assassino. Mentre la vera vittima non può neanche più difendersi.