Il Caravaggio, i debiti, le liti tra eredi Asta deserta per il Casino dell’Aurora
L’offerta minima per la dimora Boncompagni Ludovisi era 353 milioni. Rinvio al 7 aprile
Asta deserta, niente aggiudicazione e tutto rinviato al 7 aprile. Nessuno dei ventimila super ricchi che erano stati allertati via mail ha infatti messo «sul piatto» quei 353 milioni — offerta minima — necessari per acquistare il seicentesco Casino dell’Aurora, parte della scomparsa Villa Ludovisi, a Roma, il solo edificio sopravvissuto dell’antico complesso dopo le demolizioni di fine Ottocento. Uno scrigno che ancora oggi contiene al suo interno, su una volta, l’unico dipinto murale di Caravaggio, oltre a un altrettanto celebre capolavoro ad affresco di Guercino.
La corsa a eventuali rilanci (di milione in milione) avrebbe dovuto concludersi dopo 24 ore dall’apertura dell’asta, ovvero oggi alle ore 15. Ma non ce ne è stato bisogno. I 471 milioni della stima del bene (e i 353 dell’offerta base) da subito erano sembrati una cifra monstre nonostante il calibro dei capolavori custoditi (ma inamovibili) all’interno del nobile palazzo. Una cifra forse troppo alta addirittura per i nomi di cui si era favoleggiato un presunto interesse, da Bill Gates ai vari emiri di Paesi arabi.
Di «astronomical price» ha parlato anche la stampa americana, che ha seguito molto da vicino la vicenda della vendita anche per via dei natali di Rita Jenrette, texana, ex agente immobiliare, attrice e modella, dal 2018 vedova del principe Nicolò Boncompagni Ludovisi (discendente di due papi) e in quanto tale una delle proprietarie del Casino, messo all’incanto per decisione del Tribunale in seguito a una accesa disputa ereditaria tra Rita, 71 anni, e i tre figli che don Nicolò ebbe dal primo matrimonio con un’esponente del casato Barberini Colonna di Sciarra. All’origine dello scontro un testamento contestato (alla vedova il 50 per cento dei beni e del Casino) e debiti pregressi che nessuno in famiglia era in grado di ripianare. Fino alla decisione del Tribunale di procedere con asta.
Ora l’immobile — in origine residenza del cardinal Francesco Maria del Monte, protettore e intimo di Caravaggio, colui che commissionò all’artista il dipinto murale-scandalo occultato per secoli e riscoperto solo di recente dopo un restauro, con la raffigurazione di Giove, Nettuno e Plutone, con il sesso scoperto — tornerà all’incanto, con cifra ribassata.
La vicenda è ovviamente seguita da vicino anche dallo Stato italiano e dal suo governo. Che se vorranno, solo una volta aggiudicato il bene, di proprietà privata, potranno esercitare il diritto di prelazione con un’offerta almeno pari a quella dell’acquirente.
Dalla sua nascita alla fine del XVI secolo, e fino alla contesa giudiziaria odierna tra la principessa e i tre figliastri, la Villa entra ed esce dalla storia (e dalle cronache). Immensa, Villa Ludovisi fu quasi completamente distrutta, nel 1885, per lottizzare e costruire il quartiere di alberghi e case di lusso tra via Veneto e via Boncompagni. Ne sopravvive solo una piccola parte, proprio il Casino ora in vendita, detto dell’Aurora dal soggetto dell’affresco dipinto da Guercino e commissionato al pittore emiliano dal ricco e potente cardinale Ludovico Ludovisi, che nel 1621 aveva acquistato la villa Del Monte aggiungendo poi altre proprietà nel corso del tempo.
Dello scandalo della distruzione di quel bene, celebrato da tanta pittura e letteratura e sacrificato alla febbre edilizia della nuova Capitale, a fine Ottocento erano pieni giornali, riviste e pamphlet: «Qui ci si rivolta lo stomaco con i resoconti delle cose orribili che si stanno compiendo sui sette colli indifesi — protestava nel 1887 Henry James —. Distruzione e volgarità ovunque. E la Villa Ludovisi tagliata in lotti edificabili. La Villa Ludovisi! Vi dico solo questo».
A chi finirà il Casino è difficile da prevedere. Il bene è super vincolato dal 1987. Nulla o quasi si può toccare (è trapelato che tra i potenziali acquirenti le lamentele ricorrenti siano: «Il giardino è in salita», «I vicini mi guardano dentro», «Pochi bagni»). C’è la Soprintendenza Speciale di Roma, organo del ministero della Cultura, che vigila su ogni minimo cambiamento. Il problema, semmai il bene restasse, come è da secoli, di proprietà privata, sarà l’accessibilità al pubblico. Cosa che nemmeno lo Stato può imporre a un acquirente. Prima il bene si visitava eccezionalmente, solo in parte, e con un biglietto di ingresso a venti euro. In futuro, chissà.