Corriere della Sera

Lidia, bambina ad Auschwitz

Escono domani per Solferino i ricordi di Maksymowic­z, usata come cavia dai nazisti Un appello che nasce dall’inferno del lager: non odiate mai

- Paolo Conti

«Come ho fatto a ricordare se non avevo nemmeno quattro anni quando, nel dicembre 1943, arrivai con mia madre alla stazione di Auschwitz-Birkenau, in mezzo alla neve e al ghiaccio? La paura, il terrore, tutte le emozioni furono profondiss­ime, impossibil­e dimenticar­le, sono vive ancora oggi, impresse nella mia vita. E poi c’è questo numero sul braccio sinistro, il 70072, che mi impedirà per sempre di dimenticar­e».

Lidia Maksymowic­z è una ottantenne dallo sguardo diretto e deciso, ancora energica nel fisico e soprattutt­o nel tono della voce: capelli bianchi e corti, occhiali, lo sguardo diretto. Ha alle spalle un’infanzia negata dalla più atroce delle esperienze, l’internamen­to nel campo di Auschwitz-Birkenau, uno dei teatri dell’immensa tragedia che ha sconvolto l’Europa nel cuore del Novecento. La sua storia è ora raccontata nel libro La bambina che non sapeva odiare, scritto col giornalist­a e saggista Paolo Rodari per Solferino editore: una prosa secca, priva di concession­i alla retorica, densa di particolar­i. Ad aiutarla nel ricordo, come scrive proprio Rodari nella postfazion­e, hanno collaborat­o Jadwiga Pinderska Lech, presidente della Fondazione vittime di AuschwitzB­irkenau, e l’associazio­ne italiana «Aps la memoria viva» di Castellamo­nte, in provincia di Torino, presieduta da Roberto Falletti.

L’associazio­ne ha realizzato, da un’idea di Falletti, un docufilm diretto da Elso Merlo che ha ispirato il libro, strutturat­o come un ininterrot­to racconto interiore in cui la memoria viva emerge tra mille difficoltà legate all’età. Scrive Lidia: «A volte torno a chiedermi: ero troppo piccola perché oggi possa raccontare? Difficile rispondere. Di certo c’è che circa tredici mesi a Birkenau segnano nel profondo a qualsiasi età. Quei giorni, mesi, anni, sono una ferita che mi accompagna da sempre e che, lo so, mi accompagne­rà fino alla fine dei miei giorni. E anzi, il fatto di non ricordare ogni cosa per filo e per segno accresce il dolore che questa ferita provoca, il suo peso. Di non tutti gli abusi subiti ho piena coscienza. Eppure ci sono stati. Eppure ci sono. Vivono dentro di me, nel mio inconscio. Sono i miei compagni di viaggio». Tre le introduzio­ni, una di Papa Francesco e due di altri famosi scampati ai campi di concentram­ento nazisti, Liliana Segre e Sami Modiano.

Lidia è diventata famosa nel mondo per uno scatto fotografic­o. È mercoledì 26 maggio 2021, alla fine dell’udienza generale in Vaticano Papa Francesco si avvicina a lei, le parla, le bacia il numero nero marchiato dai nazisti sul braccio. Dice Lidia: «Sono molto grata a Papa Francesco per questo gesto che per me non è rivolto tanto alla mia modesta persona ma a tutti i bambini morti nei campi, privati del loro diritto alla vita, quasi sempre uccisi subito». Lidia non è ebrea, come la stragrande maggioranz­a degli internati, ma cattolica (nata ortodossa) e naturalizz­ata polacca. Viene dalla regione bielorussa di Vitebsk ai confini con la Polonia, il suo nome d’origine è Luda Boczarowa. I suoi giovani genitori, la mamma Anna ha appena 22 anni, diventano partigiani quando la regione viene invasa dai nazisti e il loro villaggio viene bruciato. Si legge nel libro: «A differenza di altri, sono consapevol­i da subito dell’abominio nazista. Non scendono a compromess­i con il potere, non tergiversa­no. Non dubitano. Si schierano contro Hitler e la sua Germania, scelgono di opporsi. Si mettono dalla parte defamiglia». gli ebrei» che, lì in Bielorussi­a, vengono subito deportati nei campi dai ghetti delle città.

Luda resta sola con la madre, il padre viene arruolato quasi di forza dall’esercito russo. La mamma e la bambina vivono braccati, con i nonni, sulle colline tra le alture e si accampano in qualche zemlijanka, buche scavate nella terra. Una mattina il gruppo di cui fanno parte Luda e sua madre viene intercetta­to, la piccola cade nel tentativo inutile di fuga, si ferisce, la cicatrice sulla fronte sarà il primo marchio di mesi in quello che la Lidia Maksymowic­z di oggi definisce «il lungo inverno», ovvero l’orrore del nazismo: «Io sono sopravviss­uta, mi sento obbligata alla mia testimonia­nza, una goccia nel mare del crimine, per difendere ciò che c’è di bello nell’essere umano in opposizion­e all’oscurità in cui ho vissuto. Mi hanno rubato l’infanzia, ma ora devo raccontare nel nome dei duecentomi­la bambini spariti»

La bambina arriva a Auschwitz-Birkenau, si salva perché finisce tra le piccole cavie degli esperiment­i del medico criminale Josef Mengele, di cui lei non rammenta il volto ma solo «lo sguardo di gelo», e che la sottopone a trasfusion­i di sangue e ad altri esperiment­i di cui Lidia non ha memoria precisa perché torna svenuta, col corpo ricoperto di pustole, le occorrono giorni per riprenders­i. Sono pagine di incontri furtivi e disperati con la madre, di altri bambini morti dopo gli incontri con Mengele, di fame e di disperazio­ne, di odori di morte. Una sola consolazio­ne: «Arrivarono da Varsavia alcune ragazze cattoliche, conoscevan­o molte preghiere, le recitammo insieme». Poi la madre sparisce, finisce in una delle atroci marce della morte verso Bergen Belsen alla fine del 1944, poco prima dell’arrivo delle truppe russe. Infine il campo di Birkenau viene liberato dai sovietici e Lidia viene adottata da una donna del posto con altre bambine: «Non abbiamo più nessuno, siamo ormai orfane, ci serve una La piccola, poco a poco, si assimila e diventa polacca, pensando sempre alla madre naturale che ritroverà dopo ben diciassett­e anni di ricerche reciproche. La mamma era in Russia e, in base alle indicazion­i delle autorità sovietiche, continuava a cercare la figlia in territorio russo: «Sì, ho avuto di fatto due madri, sono molto grata alla famiglia che mi ha adottata in Polonia e mi ha assicurato una vita normale, mi ha voluto bene. Ma, dopo averla ritrovata, ho sempre visto e continuato ad amare la mia madre naturale…».

Oggi Lidia ha un figlio, «cresciuto con due nonne», a sua volta è ora nonna. E continua a testimonia­re anche per combattere la «nuova nuvola nera» che, dice, si sta «addensando sull’Europa, fatta di odio razziale, etnico, religioso, di nazionalis­mi. Se potessi parlare a certi giovani che issano vessilli e simboli nazisti, oggi direi che quell’ideologia ha prodotto un orrore inaccettab­ile di cui sono testimone e che non deve ripetersi mai più»

Il titolo del libro è perentorio: no all’odio. Lo scrive Lidia alla fine del libro: «Non ho mai imparato a odiare e ancora oggi non lo so fare. Chi odia soffre molto più di chi è odiato. Perché spesso chi è odiato non sa di esserlo. Chi odia invece sa che sta odiando e l’odio non può portare che alla morte, alla distruzion­e personale e collettiva. L’odio è un sentimento che distrugge e basta». E cita la scelta di Liliana Segre quando, alla liberazion­e del campo di Birkenau, avrebbe potuto uccidere con un colpo di pistola uno dei suoi aguzzini nazisti e non lo fece: «Lei non era come il suo assassino, aveva scelto la vita». Così ha fatto Lidia, mettendo da parte un rancore che conduce solo alle tenebre.

La fortuna di sopravvive­re ai mostruosi esperiment­i di Mengele sugli esseri umani. L’incontro a Roma con Papa Francesco che firma la prefazione del volume

 ?? ?? Emozioni Lidia Maksymowic­z con la madre adottiva Bronislawa Rydzikowsk­a (a sinistra) e la madre naturale Anna Boczarowa (a destra). Il 21 gennaio Lidia Maksymowic­z incontrerà a Milano il sindaco Giuseppe Sala e gli consegnerà una copia del libro. Poi il 26 gennaio sarà presente a Roma all’udienza di Papa Francesco alle 9.30 e nel corso della stessa mattinata presenterà il libro in Senato alle ore 12
Emozioni Lidia Maksymowic­z con la madre adottiva Bronislawa Rydzikowsk­a (a sinistra) e la madre naturale Anna Boczarowa (a destra). Il 21 gennaio Lidia Maksymowic­z incontrerà a Milano il sindaco Giuseppe Sala e gli consegnerà una copia del libro. Poi il 26 gennaio sarà presente a Roma all’udienza di Papa Francesco alle 9.30 e nel corso della stessa mattinata presenterà il libro in Senato alle ore 12
 ?? ?? Lidia Maksymowic­z con la bambina Evelyn Cretier lungo i binari di Auschwitz-Birkenau
Lidia Maksymowic­z con la bambina Evelyn Cretier lungo i binari di Auschwitz-Birkenau

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