ALINE - LA VOCE DELL’AMORE Céline Dion, viaggio nel mito Una vita da fotoromanzo pop
Valérie Lemercier protagonista e autrice: stile ironico, senza celebrazioni
U”
La tecnica morphing permette trucchi prima impensabili: la faccia dell’attrice (ringiovanita) appare sul corpo di una teenager
n biopic? Di più, molto di più, praticamente un biopic al quadrato, anzi al cubo. Una scommessa con l’intelligenza dello spettatore e insieme con le possibilità del cinema, un viaggio dentro il mito di una delle cantanti più famose del mondo e nello stesso tempo un’occasione per prenderne le distanze, con ironia e insieme con ammirazione. In un intreccio che non ha bisogno di misurarsi con la verità, perché (rubando le parole a Fellini e a Pinelli) anche lei può dire «ciò che ho inventato è tutto vero».
Lei è Valérie Lemercier, poliedrica show-woman francese, attrice (ha esordito con Louis Malle in Milou a maggio e ha vinto due César), sceneggiatrice, regista (sei film all’attivo, l’ultimo questo), cantante, umorista. Invece «una delle cantanti più famose del mondo» è Céline Dion che però non viene mai chiamata per nome nel film: la protagonista si chiama Aline Dieu ma non ci vuole molto a capire di chi è una specie di scanzonato avatar. Durante il film, sono seminate evidenti allusioni (la canzone La voix du Bon Dieu, titolo guida dell’album che la lanciò, diventa sulla cover La voix du Bon Dion) e molti episodi della sua vita diventati celebri sono citati esplicitamente (come il fatto che per la sua prima audizione usò una matita – nel film diventa una penna stilografica - come microfono), senza dimenticare le tappe della sua carriera, dall’Eurovision Song Contest fino all’Oscar per la canzone di Titanic. Ma non sono queste le colonne su cui si regge il film, piuttosto la Lemercier (che firma la sceneggiatura con Brigitte Buc) si diverte a stravolgere in chiave pop le tappe di una vita che sembra uscita da un fotoromanzo. A cominciare dalle sue origini quebécois e dalla lingua che sente parlare in famiglia (una delle ragioni per cui vale davvero di vedere il film in lingua originale sottotitolato).
Aline/Céline nasce dunque in una famiglia del Quebec, ultima di quattordici figli, tutti più o meno con la malattia della musica, a cominciare dalla madre Sylvette (Danielle Fichaud) e dal padre Anglomar (Roc Lafortune). I due capiscono subito le straordinarie doti vocali della loro ultima nata e il fratello maggiore Jean-Bobin (Antoine Vézina) si incarica di mandare una cassetta dimostrativa all’agente Guy Kamar (Sylvain Marcel), il quale impiega pochissimo a capire che diamante grezzo abbia tra le mani. E così la dodicenne Aline inizia a scalare i gradini del successo, prima in patria e poi anche all’estero, sempre però con la faccia di Valérie Lemercier (e con la musicalità straordinaria di Victoria Sio).
La tecnica morphing ormai permette trucchi fino a pochissimo fa impensabili e così la faccia dell’attrice è messa (ringiovanita) prima sul corpo di una adolescente poi su quello di una giovanissima per lasciare che, diventata adulta, Aline sia interpretata in toto dalla Lemercier, con un effetto che travalica il semplice gioco dell’identificazione (e che il morphing rende possibile). C’è qualcosa in questa scommessa trans-cronologica che sembra sottolineare
da una parte il destino da star già presente fin dalla più tenere età (visto che l’aspetto è già quello, più o meno, dell’età adulta) ma dall’altra è anche un modo per dirne la «mostruosità», il suo essere da subito una specie di monumento (a se stesso) che cammina.
Il tono, però, è sempre scanzonato, allegramente provocatorio, sapientemente ironico. Ed è proprio qui che sta la chiave capace di trasformare un film a rischio celebrazione o, peggio, dissacrazione in una scommessa (vinta) sulle possibilità di un cinema radical-popolare. Ogni volta che la storia sta prendendo una piega seriosa (la famiglia come scudo, l’amore per l’agente Kamar, il successo, la vita da super-ricca) ecco che il film sfodera una bella dose di ironia (la popolarità in Vaticano, il disorientamento nelle troppe stanze della sua nuova villa, il giudizio negativo al primo ascolto di My Heart Will Go On) , riportando l’operazione sui binari che gli sono più congeniali: quelli di una commedia divertente (e un po’ kitsch) che ogni tanto vuole assomigliare a un biopic.