LE FUMATE NERE CHE RIVELANO INCERTEZZE TRASVERSALI
Il congelamento della candidatura di Silvio Berlusconi è testimoniato dal rinvio del vertice del centrodestra che si doveva tenere oggi a Roma. Il fondatore di FI è rimasto a Milano, almeno per ora. E subito i suoi alleati, Matteo Salvini e Giorgia Meloni, interpretano la notizia come il «via libera» al loro fantomatico «piano B». E, con una vena di impazienza, annunciano di avere pronta una proposta alternativa per aprire la trattativa con M5S e Pd. Evocano la compattezza del proprio schieramento per contare sull’elezione del capo dello Stato, eppure si stanno rendendo conto che preservarla sarà un miracolo.
Le manovre sul Quirinale sono un acceleratore delle contraddizioni: di tutti. Per questo, al di là del tweet identico trasmesso ieri dopo il vertice tra il grillino Giuseppe Conte, il segretario dem Enrico Letta e il ministro Roberto Speranza, anche quel fronte accredita una compattezza tutta da verificare. La genericità del testo condiviso lascia capire che non esiste nessuna intesa su un nome: farlo dividerebbe il Pd e i Cinque Stelle, oltre che incrinare i rapporti tra loro.
In più, l’ex premier del M5S è dovuto andare alla Farnesina da Luigi Di Maio per essere sicuro di avere dietro le truppe parlamentari di un Movimento disorientato, e ora traumatizzato dai problemi giudiziari di Beppe Grillo. Alla fine, entrambi avrebbero rivendicato la «centralità» del M5S e l’esigenza di «preservare Draghi da tatticismi politici». Frase un po’ oscura: al punto che, poche ore dopo, dalla cerchia di Conte è venuta fuori una dichiarazione ufficiosa e anodina secondo la quale la linea del M5S prevede che Draghi rimanga a Palazzo Chigi.
Suona come un modo obliquo per rassicurare quella parte del grillismo tuttora ostile al premier e timorosa che un suo passaggio al Quirinale porti a elezioni anticipate. Quella del voto è in realtà un’ipotesi remota: chiunque sarà scelto sa che il Parlamento vuole una legislatura da proseguire fino al 2023. Ma l’avvertimento cifrato serve a tacitare i numerosi nemici di Draghi e a non fare apparire Conte cedevole. È un approccio diverso da quello di Letta, pure alle prese con un partito gonfio di personaggi con ambizioni presidenziali.
Il segretario del Pd sembra consapevole dei contraccolpi negativi che un’uscita di scena del premier avrebbe a livello internazionale. E sa anche che sarà quasi impossibile una permanenza di Draghi a Palazzo Chigi con la maggioranza attuale. Per questo, mentre «cofirma» il tweet con gli alleati, precisa che «la protezione di Draghi deve essere l’obiettivo di tutte le forze politiche». E, per essere più chiaro, spiega che «è la risorsa fondamentale del Paese e ci fa da scudo rispetto alle nostre debolezze, a partire dal debito». Il messaggio è chiaro. Resta da vedere chi vorrà o potrà raccoglierlo.