Se le elezioni francesi «tracimano» a Strasburgo
PARIGI Quando il candidato ecologista Yannick Jadot gli ha detto in faccia che sembrava Meryl Streep, il presidente Macron ha alzato le sopracciglia e ha mosso la testa come a dire «ah, pure questo». Gliene hanno dette di tutti i colori: «Lei passerà alla storia come il presidente dell’inazione climatica»; «protegge solo multinazionali e miliardari»; «ha detto un mucchio di menzogne» e, appunto, «lei è come Meryl Streep nel film Don’t Look Up, preferisce procrastinare piuttosto che agire». Il solenne discorso europeista di Macron ieri è stato accolto da critiche durissime da parte degli eurodeputati francesi, che hanno accusato il capo di Stato di strumentalizzare a fini elettorali la presidenza del Consiglio Ue. Uno spettacolo poco edificante, perché a loro volta gli avversari di Macron hanno dato l’impressione di considerare l’Aula di Strasburgo come una specie di dépendance dell’Assemblea nazionale. La Costituzione francese stabilisce una rigida separazione dei poteri e a Parigi i parlamentari non possono interpellare direttamente il presidente. A Strasburgo invece sì, e quindi ieri c’è chi ha approfittato di un’occasione imperdibile, a tre mesi dal voto per l’Eliseo (10 e 24 aprile). Poco interessati alle parole di Macron sull’Unione europea ma pronti a pronunciare frasi a effetto che avevano l’aria di essere pre-preparate, i parlamentari europei dell’opposizione hanno trasformato la presentazione del semestre francese in un momento della campagna nazionale (e il tedesco Manfred Weber si è spinto a auspicare la vittoria della gollista Valérie Pécresse). Nessuno prova neanche più a evocare un possibile spirito bipartisan, tentazione morta e sepolta, e la violenza della lotta politica francese deborda nelle istituzioni europee.