Il padre di Attanasio e gli arresti «Soltanto una messinscena, dall’Onu silenzio vergognoso»
I genitori dell’ambasciatore ucciso in Congo: vogliamo i mandanti
Si chiamano Bahati Kibobo e Balume Bakulu. Sono molto giovani. Scalzi, ammanettati, martedì li hanno fatti sedere assieme ad altri quattro su un prato del comando di polizia di Goma, mostrati come un trofeo. «Eccoli, gli assassini dell’ambasciatore italiano Luca Attanasio», ha proclamato sicuro il generale Aba Van Ang Xavier, il comandante provinciale del Nord Kivu. Kibobo e Bakulu non sarebbero due criminali qualsiasi. Secondo il generale, sono miliziani ribelli dell’M23: il Movimento 23 Marzo che dal 2009 combatte il governo e i caschi blu dell’Onu, «pagato dal Ruanda e dall’Uganda», terrorizzando il Nord Kivu con attentati e sequestri. In passato, raccontano, l’M23 avrebbe già rapito operatori di Medici senza Frontiere e della Croce Rossa internazionale. Nel parco di Virunga, avrebbe anche sequestrato e ucciso un turista inglese e una guardia forestale. «Kibobo e Bakulu rispondevano agli ordini d’un capo, soprannominato Aspirant, che è riuscito a fuggire e che stiamo ricercando». Il loro piano sarebbe stato di prendere vivi Attanasio e il carabiniere Vittorio Iacovacci che lo scortava, per chiedere un riscatto d’un milione di dollari: «Non sapevano che si trattasse d’un diplomatico, loro cercavano solo dei bianchi».
Qualcosa però sarebbe andato storto, qualcuno del gruppo di Aspirant avrebbe sparato agli ostaggi, violando le consegne e «facendo arrabbiare gli altri». Il caso è risolto? «Kibobo e Bakulu hanno confessato dopo una serie d’interrogatori».
Al momento, ci credono in pochi. Nessuno ha letto i verbali, non è stata presentata alcuna altra prova. Tace il presidente Felix Tshisekedi, ammutolito il governo. E di questa «svolta» nelle indagini sembra non fidarsi nemmeno il governatore militare della regione, Sylvain Ekenge, che ha chiesto ulteriori approfondimenti. Figurarsi gl’italiani: l’ambasciata a Kinshasa non ne sapeva niente, e meno ancora la Procura di Roma che da mesi trova un muro di silenzi e cerca (inutilmente) d’inviare in Congo i Ros. A Limbiate, hinterland monzese, davanti alla villetta di famiglia è scettico anche Salvatore Attanasio, il papà di Luca: «Ha i nomi degli arrestati? Me li risparmi, grazie. Non m’interessano. Io sono come San Tommaso, non credo a questa storia finché non la certificano le autorità italiane. Mi sembra una messinscena: io voglio i mandanti, non solo gli esecutori».
Quali mandanti? «Se è stato un agguato pianificato e non una rapina, sono troppi i dubbi. Se cercavano i bianchi, nel convoglio ce n’erano tre: perché ne hanno presi solo due? Luca poi ha ricevuto tre proiettili in pancia: chi scappa viene colpito alle spalle, non davanti». Per gli Attanasio, la chiave è il silenzio del Pam, il Programma alimentare mondiale che aveva organizzato il convoglio: «Chi era coinvolto a qualche titolo, è stato mandato via dal Congo. Anche Rocco Leone, sopravvissuto alla sparatoria: sparito. Il Pam dovrebbe spiegare tante cose:doveva
I funzionari Onu dovrebbero spiegare tante cose ma si sono appellati all’immunità e avvalsi della facoltà di non rispondere: una vergogna
Se gli aggressori cercavano i bianchi, nel convoglio ce n’erano tre. Perché ne hanno presi solo due? Poi il sopravvissuto Rocco Leone è sparito
provvedere alla sicurezza, perché non lo fece? La sera prima, Luca era molto preoccupato e chiedeva della scorta: gli rispondevano di star tranquillo. Invece non avevano comunicato ai caschi blu nemmeno la sua presenza, se l’avessero fatto non avrebbero avuto l’ok per partire. Il Pam sta a Roma, i pm vorrebbe ascoltarli, ma i funzionari si sono appellati all’immunità e avvalsi della facoltà di non rispondere. Una vergogna». L’ingegner Salvatore vorrebbe un po’ di schiena dritta: «Chi ammazza un ambasciatore, ammazza lo Stato italiano. E non si può andare cauti solo perché c’è di mezzo l’Onu. L’avessero fatto a un ambasciatore Usa o israeliano, in Congo non ci sarebbe più neanche un albero».