ARTE: IL RITORNO DELLE MOSTRE FRUTTO DI STUDIO
Inferno, alle Scuderie del Quirinale; Realismo Magico e Corpus Domini a Palazzo Reale di Milano; la retrospettiva su Saul Steinberg alla Triennale. Sono, questi, alcuni tra i principali eventi espositivi del 2021, che segnano un’importante inversione di tendenza. Per troppi anni, nel nostro Paese, un po’ ovunque hanno imperversato «pleiadi di (…) mostriciattole, spesso insignificanti, inutili, a base commerciale e promozionale» di cui aveva già scritto Federico Zeri nel 1996. Blockbuster ordinati in fretta, concepiti in un’ottica localistica, incapaci di uscire fuori dai nostri confini, ideati per assecondare un esteso desiderio di svago e di intrattenimento, caratterizzati da allestimenti eccessivi, non di rado importati «a pacchetto» da società private, con quadri di non elevata qualità e di dubbia autografia. Lunapark nei quali si sono incontrate sempre le stesse celebrities: maestri noti, efficaci mediaticamente, da Caravaggio a van Gogh, da Picasso a Dalí e Warhol, passando per gli impressionisti. Si tratta di una moda che sta declinando. Il Covid ha profondamente inciso su questo settore culturale: progetti annullati o riarticolati, investimenti tagliati, numero dei visitatori drasticamente ridotto. Ma, si sa, talvolta, le fasi storiche di maggiore difficoltà possono rivelarsi come straordinarie occasioni per ridefinire strategie e paradigmi consolidati. È quel che sta accadendo nell’industria delle mostre. In linea con quanto avviene in altre nazioni d’Europa, anche da noi si stanno organizzando esposizioni serie, con tagli critico-filologici rigorosi, curate con sapienza, allestite in maniera misurata, condotte nel rispetto degli standard internazionali, esito di anni di studio e di ricerca, fondate su un’attenta selezione delle opere e su campagne di prestiti di qualità, destinate ad alimentare quell’«otium studioso e disinteressato» di cui ha parlato Marc Fumaroli. Finalmente, verrebbe da dire.