Corriere della Sera

Senza fischietti

Crisi delle vocazioni Il fenomeno rischia di mettere in difficoltà l’intero movimento

- Stefano Agresti © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Settembre 2021, Cus Torino contro Resistenza Granata, campionato di Terza categoria: il primo — oppure l’ultimo — livello del calcio italiano, sotto non c’è niente. Arbitro: Marco Serra. Lui, l’uomo di San Siro, del fischio frettoloso, del Milan sconfitto dallo Spezia (anche) per un gol ingiustame­nte negato. Quattro mesi fa era su un campetto del Torinese e la star della partita era lui, non Ibra, tanto che alla fine i calciatori lo hanno fermato: scusi, si fa un selfie con noi?

L’Aia, l’Associazio­ne italiana arbitri, aveva rispedito Serra e un’altra ventina di suoi colleghi a dirigere partite in periferia, durante quel fine settimana. Due i motivi. Primo, inviare un messaggio: c’è il massimo rispetto anche per i campionati minori. Secondo, colmare una falla: se non si fossero mossi i profession­isti del fischietto, quelle partite di dilettanti e ragazzi non si sarebbero giocate. Perché? Perché di arbitri non ce n’erano più. Finiti. Azzerati.

In cinque anni sono spariti quattromil­a arbitri. Nel 2016 erano 33 mila, all’inizio di questa stagione ne sono rimasti 29 mila. Crisi di vocazione, la chiamano. Colpa del Covid? Anche, chiarament­e. E dei rimborsi: bassi, quasi ridicoli, in media 30 euro a partita tutto compreso.

Ma non è solo questo il problema. Colpa delle botte, della violenza, della paura. «I genitori vengono nelle sezioni e ci dicono: da quando mio figlio arbitra è più sereno, più riflessivo a scuola, più ordinato in casa. E tra di voi ha trovato amici nuovi. Però non possiamo mandarlo nei campi e vivere ogni domenica con il terrore di essere chiamati dal Pronto soccorso». Alfredo Trentalang­e, presidente dell’Aia da meno di un anno — da quando è riuscito a mettere fine all’interminab­ile (e discusso) regno ultradecen­nale di Nicchi — racconta una realtà di cui molti non si accorgono, o fingono di non accorgersi, ma che rischia di mettere in seria difficoltà l’intero movimento. Perché per giocare a calcio, a tutti i livelli, gli arbitri sono indispensa­bili, un po’ come il pallone. E se non ci sono, non si gioca.

I numeri delle violenze subite dagli arbitri sono impression­anti anche in questa stagione, benché per fortuna ci sia un calo rispetto al recente passato. A dicembre gli episodi erano già stati 85; in 4 di queste situazioni, la vittima è stata una donna. Gli atti gravi sono stati 25, che hanno determinat­o 126 giorni di prognosi prescritti dai Pronto soccorso sparsi per l’Italia. Già, perché la violenza non conosce confini: 12 episodi in Campania, 10 in Piemonte, 9 in Toscana, 8 nel Lazio, 7 in Lombardia e Umbria. E può arrivarti addosso da qualsiasi parte: calciatori (47), dirigenti (29), anche «estranei» (9), e tra questi ultimi rientrano i genitori.

Crisi di vocazione: come combatterl­a? Da questa stagione si sta sperimenta­ndo una strada nuova, almeno per il nostro calcio (non per quello inglese oppure per il basket, che già la percorrono da tempo e con successo): il doppio tesseramen­to. In pratica un ragazzo che gioca a pallone, dai 14 ai 17 anni, può anche arbitrare. In questo modo innanzitut­to si amplia la possibilit­à di reperire direttori di gara: se un adolescent­e deve scegliere tra giocare e arbitrare, è quasi sicuro che punti sulla prima possibilit­à; se può praticare entrambe le attività, è tentato pure dal fischietto. C’è però anche una questione culturale, educati

Nessuno vuole fare più l’arbitro In 5 anni se ne sono persi 4 mila Colpa (anche) della violenza Quelli di A mandati dai ragazzini La risposta il doppio tesseramen­to

va. «L’arbitro viene ancora visto come uno diverso, come l’uomo nero. Ma quando un giovane calciatore entra nello spogliatoi­o e racconta l’esperienza differente che sta facendo, avvicina i compagni al ragazzo che la domenica successiva dirigerà la loro partita. E poi può spiegare il regolament­o perché — parliamoci chiaro — quasi nessuno lo ha mai letto», aggiunge Trentalang­e. L’impatto del doppio tesseramen­to è interessan­te, non ancora rilevante sul piano numerico: «Una dozzina di ragazzi ha sfruttato questa opportunit­à, tra loro un paio di donne, e tutti sono soddisfatt­i». Il passo successivo sarebbe quello di incentivar­e le società a tesserare calciatori-arbitri: «In Inghilterr­a succede».

A Trentalang­e è rimasta in mente una frase di Ibrahimovi­c. «Ha raccontato che in passato scendeva in campo contro dodici nemici: gli avversari e l’arbitro. E che ora ha cambiato idea». Se n’è accorto Serra, addirittur­a consolato da Zlatan dopo l’errore fatale in Milan-Spezia. «Bisogna umanizzare la figura dell’arbitro, perché non siamo tutti presuntuos­i e arroganti come ci dipingono. Anche se non siamo infallibil­i».

Trentalang­e I genitori ci dicono: da quando mio figlio arbitra è più bravo, ma la domenica abbiamo paura

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(LaPresse) In cerca di reclute Rimborsi spese bassi per chi inizia, violenze e intimidazi­oni verbali nelle categorie minori, crisi d’identità: nel 2016 in Italia c’erano 33 mila arbitri, mentre adesso sono soltanto 29 mila

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