Corriere della Sera

Mario libero

- di Massimo Gramellini

Non sapremo mai perché Mario Finotti si sia calato dalla finestra con un lenzuolo attorcigli­ato alla vita come un evaso. Da che cosa stava scappando? Era arrivato nella casa di riposo vicino a Rovigo l’estate scorsa, a novant’anni suonati. Ma non rientrava in nessuno dei luoghi comuni con cui di solito si ritiene comodo incasellar­e la vita. Non era malato. Non si sentiva abbandonat­o. Andava d’accordo con le infermiere. Riceveva visite regolari da nipoti e pronipoti. Aveva un carattere indipenden­te, e prepotente, a detta degli amici. Perché aveva ancora degli amici. Ma allora da che cosa stava scappando, quando ha atteso l’alba per scendere dal primo piano con un’imbracatur­a da film? Forse gli era presa nostalgia di casa, distante pochi isolati. Lui, così allergico ai legami da non avere mai sopportato nemmeno una badante, ha deciso di stringersi a un lenzuolo e, nel tentativo di toccare terra coi piedi, è andato invece a sbattere la testa contro il muro.

No, non conoscerem­o mai le ragioni del suo tentativo di fuga finito in tragedia. Come l’amore, la libertà non ha un perché. È il perché. Il corpo ci ossessiona a tal punto da indurci a pensare che un uomo sia fatto solo di prestazion­i fisiche e intellettu­ali, e che quando i movimenti e i pensieri cominciano a perdere colpi, evaporino anche i sogni e le pulsioni. Invece quella sfera, che la razionalit­à rifugge, esiste in un poppante come in un vegliardo, ed è forse l’unica cosa di noi che conta davvero, alla fine.

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