Le proroghe decise durante i governi Conte Ogni anno alla società 72 milioni di sussidi
ROMA Segnalazioni Antitrust inascoltate per almeno due anni. Avrebbero giustificato la messa a gara di alcune tratte per la Sardegna, disciplina prevista dalla normativa europea, confermate da una multa (per 29 milioni poi ridotta ad 1) per abuso di posizione dominante nel trasporto merci. Gare avviate solo da questo governo, ad aprile 2021, non dagli esecutivi a guida pentastellata. Procedimenti societari di fusione inversa, sventati, che avrebbero svuotato della garanzie patrimoniali sufficienti a Moby per rimborsare il debito di 180 milioni nei confronti dello Stato per il modo in cui avvenne la fusione di Tirrenia nel gruppo della famiglia Onorato. Soprattutto proroghe su proroghe, decise dai due governi Conte, della Convenzione da 72 milioni di euro all’anno con cui Tirrenia copriva le rotte passeggeri/merci per la Sardegna, la Sicilia e le isole Tremiti. Rotte definite «a fallimento di mercato», dunque da sostenere con sussidi pubblici, che però rischiavano di configurare una preoccupante concentrazione dell’offerta di posti sui traghetti che poteva determinare a cascata un aumento del prezzo dei biglietti nella stagione estiva. Concentrazione segnalata da una relazione alla Camera dell’allora presidente dell’Authority dei Trasporti, Andrea Camanzi, che rivelava come la gran parte delle rotte fosse coperta con percentuali tra il 90 e il 95% di posti offerti dal gruppo Moby, tesi che confermerebbe la totale assenza di concorrenza. E poi le esenzioni fiscali e l’utilizzo a fini di liquidità immediata dei fondi destinati alla ristrutturazione delle navi con cui avvenne l’acquisizione di Tirrenia che finì in amministrazione straordinaria salvo essere rilevata dal gruppo della famiglia Onorato nel 2012. Una procedura che diede vita ad un lungo contenzioso con i commissari della Tirrenia finito con la decisione della Commissione Ue di decretare il rimborso all’Italia di ulteriori 15 milioni.
Da qui i sequestri conservativi dei conti della società, su richiesta degli stessi commissari, tramutati però dall’allora ministro dello Sviluppo, Stefano Patuanelli, in un più morbido sequestro conservativo delle navi che svolgendo però un servizio pubblico non potevano fermarsi. Ora il piano di rientro del debito di 640 milioni (160 milioni verso le banche, 180 verso lo Stato e 300 verso una pletora di obbligazionisti) della capogruppo Moby e della controllata Moby-Cin sottoposto alla valutazione dei creditori, tra cui anche i commissari di Tirrenia, a cui il pm Roberto Fontana, ha chiesto un parere. Ieri nell’udienza a Milano il gruppo Moby ha spiegato di voler immettere nuova finanza per 60 milioni e di voler pagare il debito Tirrenia all’80% in 4 anni, con garanzia ipotecaria sulle navi e con il mandato di vendita della stessa società (col rischio che però il valore dei natanti scenda ancora) quale ulteriore garanzia.