Ricerca, investimenti e territorio Convivere con il virus si potrà (l’ottimismo però è un ostacolo)
Con contagi e ricoveri che crescono in modo meno esplosivo, secondo alcuni scienziati la fine della pandemia non sarebbe lontana.
Ma che cosa succederà dopo? Il virus non andrà via con uno schiocco di dita ed è qui con l’intenzione di restare.
Come ha spiegato Anthony Fauci, consulente medico del presidente Usa Biden per il Covid, siamo solo nella prima delle «cinque fasi pandemiche», quella con un impatto ancora molto negativo sul globo intero. Seguiranno una decelerazione e, salvo nuove varianti, la fase di controllo, definita «endemica».
«Endemicità» significa che il virus continuerà a circolare in alcune parti della popolazione mondiale per anni, ma la sua prevalenza e il suo impatto scenderanno a livelli relativamente più gestibili.
Per classificare una malattia infettiva come «endemica» il tasso di infezione R0 (erre con zero) deve essere stabilmente inferiore o uguale a 1, in assenza di misure di contenimento (traguardo ancora lontano). Ma che cosa significherebbe in concreto avere a che fare con un virus endemico? La malaria è una malattia endemica nelle aree tropicali e subtropicali e ha ucciso più di 600 mila persone nel 2020. È vero che le persone ci convivono, ma non in modo indolore. «L’endemicità non implica una malattia lieve e una malattia lieve non implica endemicità», chiarisce al Financial Times Elizabeth Halloran, epidemiologa di Seattle. Ma ci sono anche altri fattori che entrano in gioco: «Qual è il tasso di ricoveri e decessi? Il sistema sanitario è sovraccarico?», si chiede Angela Rasmussen, virologa dell’Università del Saskatchewan in Canada.
L’incognita più grande in questo viaggio verso l’endemicità è la possibilità, molto concreta, che sorgano nuove varianti che potrebbero essere meno miti, più contagiose o entrambe le cose insieme.
L’idea che Sars-CoV-2 possa restare con noi per sempre può certamente suonare inquietante. D’altra parte, forse comprendere (e accettare) che la pandemia sia un’emergenza a lungo termine potrebbe aiutare i governi (e psicologicamente i cittadini) a organizzarsi in modo più efficace, introducendo nuove misure di sicurezza e scegliendo i giusti investimenti. Proprio l’ottimismo, infatti, potrebbe essere uno dei maggiori ostacoli a realizzare piani «di convivenza»: se ogni volta si pensa che il Covid stia andando via, si tenderà ad abbassare la guardia senza procedere con
investimenti essenziali.
Quali? Potenziare il più possibile la ricerca per arrivare a un vaccino universale monodose che valga per tutte le varianti; sviluppare un vero piano pandemico puntando sulla medicina territoriale e reparti ospedalieri ad hoc; proseguire nello sviluppo di farmaci antivirali efficaci, sicuri e a basso costo; assicurare il vaccino a tutti i Paesi del mondo; abbattere da subito il rischio di contagio grazie a investimenti nella «ventilazione meccanica controllata» all’interno degli edifici: un sistema che può rendere un ambiente chiuso, saturo di virus, come fosse esterno, con il vantaggio che le varianti non influirebbero sul suo funzionamento.