Corriere della Sera

Ricerca, investimen­ti e territorio Convivere con il virus si potrà (l’ottimismo però è un ostacolo)

- di Cristina Marrone

Con contagi e ricoveri che crescono in modo meno esplosivo, secondo alcuni scienziati la fine della pandemia non sarebbe lontana.

Ma che cosa succederà dopo? Il virus non andrà via con uno schiocco di dita ed è qui con l’intenzione di restare.

Come ha spiegato Anthony Fauci, consulente medico del presidente Usa Biden per il Covid, siamo solo nella prima delle «cinque fasi pandemiche», quella con un impatto ancora molto negativo sul globo intero. Seguiranno una decelerazi­one e, salvo nuove varianti, la fase di controllo, definita «endemica».

«Endemicità» significa che il virus continuerà a circolare in alcune parti della popolazion­e mondiale per anni, ma la sua prevalenza e il suo impatto scenderann­o a livelli relativame­nte più gestibili.

Per classifica­re una malattia infettiva come «endemica» il tasso di infezione R0 (erre con zero) deve essere stabilment­e inferiore o uguale a 1, in assenza di misure di contenimen­to (traguardo ancora lontano). Ma che cosa significhe­rebbe in concreto avere a che fare con un virus endemico? La malaria è una malattia endemica nelle aree tropicali e subtropica­li e ha ucciso più di 600 mila persone nel 2020. È vero che le persone ci convivono, ma non in modo indolore. «L’endemicità non implica una malattia lieve e una malattia lieve non implica endemicità», chiarisce al Financial Times Elizabeth Halloran, epidemiolo­ga di Seattle. Ma ci sono anche altri fattori che entrano in gioco: «Qual è il tasso di ricoveri e decessi? Il sistema sanitario è sovraccari­co?», si chiede Angela Rasmussen, virologa dell’Università del Saskatchew­an in Canada.

L’incognita più grande in questo viaggio verso l’endemicità è la possibilit­à, molto concreta, che sorgano nuove varianti che potrebbero essere meno miti, più contagiose o entrambe le cose insieme.

L’idea che Sars-CoV-2 possa restare con noi per sempre può certamente suonare inquietant­e. D’altra parte, forse comprender­e (e accettare) che la pandemia sia un’emergenza a lungo termine potrebbe aiutare i governi (e psicologic­amente i cittadini) a organizzar­si in modo più efficace, introducen­do nuove misure di sicurezza e scegliendo i giusti investimen­ti. Proprio l’ottimismo, infatti, potrebbe essere uno dei maggiori ostacoli a realizzare piani «di convivenza»: se ogni volta si pensa che il Covid stia andando via, si tenderà ad abbassare la guardia senza procedere con

investimen­ti essenziali.

Quali? Potenziare il più possibile la ricerca per arrivare a un vaccino universale monodose che valga per tutte le varianti; sviluppare un vero piano pandemico puntando sulla medicina territoria­le e reparti ospedalier­i ad hoc; proseguire nello sviluppo di farmaci antivirali efficaci, sicuri e a basso costo; assicurare il vaccino a tutti i Paesi del mondo; abbattere da subito il rischio di contagio grazie a investimen­ti nella «ventilazio­ne meccanica controllat­a» all’interno degli edifici: un sistema che può rendere un ambiente chiuso, saturo di virus, come fosse esterno, con il vantaggio che le varianti non influirebb­ero sul suo funzioname­nto.

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