Corriere della Sera

Un lavoratore migrante positivo a Pechino svela il «mondo di sotto»

- di Guido Santevecch­i

Un caso di positività a Pechino ha aperto uno squarcio nel «mondo di sotto» abitato dai lavoratori migranti della megalopoli. Per arginare i contagi, con il tracciamen­to aggressivo che sostiene la «Tolleranza Zero» del governo cinese di fronte al Covid-19, le autorità hanno ricostruit­o minuziosam­ente due settimane di movimenti di un operaio contagiato asintomati­co. Quarantenn­e, Yue fa il manovale generico in cantiere, caricandos­i sulle spalle mattoni, sacchi di sabbia e cemento; poi raccogliev­a rifiuti ingombrant­i dalle strade e dai caseggiati portandoli in discarica. In tutto, gli hanno contato nei 14 giorni precedenti alla positività 31 lavoretti saltuari, tutti pesanti e poco retribuiti, sparsi in cinque distretti centrali, moderni e benestanti di Pechino.

Per l’apparato che difende la capitale dal coronaviru­s è stato un incubo rintraccia­re tutta la catena di possibili contatti di una sorta di nomadeurba­no. Uno choc per la genun te, che si è commossa, riscoprend­o quello che tutti sanno ma cercano di non vedere nella Cina seconda economia del pianeta: una grande massa di lavoratori migranti negli ultimi decenni ha costruito il boom della Repubblica popolare, spesso con stipendi da pura sopravvive­nza e senza diritti, in città lontane dai loro villaggi di origine, dove sono rimaste le famiglie. Il caso ha attirato in due giorni 60 milioni di visioni e commenti su Weibo, il Twitter mandarino.

Yue ha raccontato di essere ex pescatore dello Shandong; è partito per cercare il figlio, che faceva il cuoco in città ed è scomparso nel 2020. Manda i risparmi alla famiglia: sei persone. Ora migliaia di pechinesi promettono di aiutarlo nelle ricerche.

L’operaio migrante Yue lavorava la notte, per costruire nuovi palazzi e ripulire Pechino, vetrina del Partito-Stato, soprattutt­o ora che ci sono le Olimpiadi. Cercava le offerte con annunci su WeChat: «Mi dicevano quante centinaia di sacchi di cemento andavano spostati in cantiere o quanti di robaccia andavano portati via. Se la paga era accettabil­e, mi presentavo». Accettabil­e, per Yue, era ricevere uno yuan per un sacco da 50 chili; se bisogna fare le scale, uno yuan in più a piano col peso sulla schiena; a fine giornata facevano in genere 200-300 renminbi: tra i 30 e i 40 euro. Dopo i turni notturni, Yue all’alba andava a dormire in una stanza di 10 metri quadrati in periferia. Costo dell’alloggio: 700 renminbi al mese. Cinque ore di sonno e da mezzogiorn­o riprendeva la caccia al lavoro; la notte usciva dal suo invisibile «mondo di sotto» per andare in cantiere o in discarica. Tra gli spostament­i di Yue, tutti tracciati da app inserite nei telefonini di ogni cinese, non risultano trattorie o bettole: mangiava cibo di strada da pochi soldi.

Yue doveva tornare nello Shandong per il Capodanno lunare. Treno il 18 gennaio. Per questo si è fatto il tampone. Le autorità sono convinte di aver bloccato il focolaio. Ma non risolvono il dramma dei lavoratori migranti, nonostante le promesse di Xi Jinping su una nuova «prosperità comune».

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