Corriere della Sera

Uccise la madre malata. Il giudice: non c’è delitto

Asti, l’uomo ha confessato e il pm aveva chiesto 7 anni. Il Tribunale lo ha assolto

- Simona Lorenzetti © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

ASTI È l’agosto 2020, è un’afosa mattina quando Giovanni Ghiotti, 52 anni, si presenta dai carabinier­i. Lo hanno convocato in stazione perché qualcuno l’aveva visto rigare un’auto. Ma in caserma l’uomo sembra non dare importanza a quell’episodio. Lui vuole parlare d’altro: «Devo raccontarv­i una storia».

Comincia così la straziante narrazione di un delitto di cui nessuno sapeva nulla. Ghiotti rivela di aver ucciso l’anziana madre di 92 anni, Laura Tortella. Di averlo fatto tre anni prima e di aver custodito quel segreto per paura. «Non riesco più a tenermi questo peso dentro», ammette. E con fatica confessa: «Stava male, le ho dato dei sonniferi e quando si è addormenta­ta l’ho soffocata con il cuscino». Diciassett­e

mesi più tardi, la trama di questo delitto finisce al centro di un processo in cui Ghiotti è imputato di omicidio volontario. Il finale è stato scritto due giorni fa, quando il giudice ha letto il verdetto: «Si assolve, il fatto non sussiste». Un epilogo per nulla scontato, la Procura aveva chiesto una condanna a sette anni e mezzo tenendo conto del rito abbreviato e delle attenuanti. Ora bisognerà attendere le motivazion­i.

L’imputato non ha solo ammesso di aver ucciso, ma la sua deposizion­e ha trovato riscontro in elementi oggettivi: nel corpo della vittima sono state scoperte abbondanti tracce di sonnifero, un dettaglio che conferma quanto lui ha rivelato.

«Mamma alzati, la colazione è pronta». La mattina del 4 novembre 2017 Ghiotti si sveglia presto come era solito fare. Più tardi dovrà presentars­i al lavoro in fabbrica, ma prima deve occuparsi dell’anziana madre che quasi non si muove più dal letto. Lei è in camera e quando il figlio entra per aiutarla gli restituisc­e uno sguardo triste e rassegnato. Giovanni capisce che sta male, vorrebbe chiamare il dottore, ma lei lo ferma: «Lascia stare. Basta». Quel giorno la donna muore. Il medico legale che bussa alla porta della vecchia e isolata casa a Piovà Massaia, in provincia di Asti, scrive sul referto che si tratta di cause naturali.

Tre anni dopo il figlio confessa. Il racconto dell’uomo, lucido seppure frammezzat­o da momenti di ansia e paura, è circostanz­iato. Lui fa fatica a parlare. Non si tratta solo di ripetere a memoria quello che per anni ha rivissuto con continui déjà vu. Gli inquirenti vogliono che riveli i dettagli del rapporto con la madre. Una donna — così come è descritta in aula — dal carattere dominante, ma allo stesso tempo fragile a causa dei problemi di salute. «Si era arresa — spiega l’imputato —. Non ce la faceva più. Mi ripeteva che non voleva morire come la sorella, incapace di muoversi e costretta su una sedia a rotelle».

Lucia soffriva perché le sue ossa si stavano consumando e aveva dolori fortissimi: nell’ultimo anno era stata operata tre volte per la frattura del femore. I medici le avevano detto che non avrebbe potuto esserci un quarto intervento perché lo scheletro si stava sgretoland­o. Sono emerse dalle carte processual­i e dalle testimonia­nze di alcuni familiari la dedizione e l’affetto con cui Ghiotti si è sempre preso cura dei genitori: del padre, morto anni prima per un ictus, e poi della madre. «È stato un gesto d’amore», ha spiegato l’avvocato Marco Dapino. Che descrive così il suo cliente al momento della sentenza: «Aspettava, senza nemmeno il sogno di un miracolo, privo di una speranza che non merita chi uccide la propria madre, nemmeno se per un atto di amore. Aspettava, senza energie, dopo avere pianto dignitosam­ente nascondend­osi dietro una mascherina».

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