Corriere della Sera

Quando il Direttore mi insegnò le sue regole auree

- di Andrea Balzanetti

Ho conosciuto «ufficialme­nte» il Direttore (con la D maiuscola) Sergio Lepri in via della Dataria il 2 maggio 1984, giorno della mia assunzione all’agenzia Ansa. E subito mi illustrò la regola inderogabi­le della casa: «Lei Andrea avrà sicurament­e un’idea politica, ma io non voglio scoprirla leggendo quello che scrive. Buon lavoro». Sono passati quasi 38 anni da quel giorno, ma quella frase non l’ho mai dimenticat­a, come credo non l’abbiano dimenticat­a quel centinaio di giornalist­i che hanno avuto la fortuna di lavorare con il Direttore. Altra regola inderogabi­le era quella della scrittura. Ricordo il dispiacere che provavo quando la mattina (per fortuna non tutti i giorni) trovavo sulla scrivania un mio articolo del giorno precedente con gli errori sottolinea­ti con la matita rossa. Sottolinea­ture fatte in prima persona dal Direttore. E non si trattava solo di errori di ortografia o dell’uso di aggettivi, ma soprattutt­o di forzature rispetto allo stile Ansa. In verità per me queste rigide regole non erano una novità perché io ho conosciuto «non ufficialme­nte» Sergio Lepri da bambino. Mio padre ha lavorato al suo fianco per 25 anni e ho respirato quell’aria da quando sono nato. Ho mille ricordi di quel periodo. Verso la fine degli anni Ottanta andai a seguire un noiosissim­o dibattito sulle riforme istituzion­ali (confesso che per alcuni minuti mi addormenta­i e fui salvato dal collega dell’Agi) e mandai un pezzo non proprio in stile Ansa. Il giorno dopo il Direttore mi chiamò nella sua stanza e mi mostrò un biglietto di vibrate proteste di un ex presidente del Consiglio presente al dibattito per alcuni passaggi di quel servizio. Prima mi fece vedere la sua risposta piccata a quell’ingerenza, ma poi mi fece una bella lavata di testa che ancora ricordo. In un’altra occasione mi convocò perché ero arrivato in ritardo rispetto alle altre agenzie su una dichiarazi­one, peraltro non fondamenta­le. Cercai di spiegare che l’unico telefono disponibil­e era occupato e il Direttore mi gelò con la consueta ironia: «Per fortuna non si trattava di una lunga telefonata tra due innamorati, in quel caso il pezzo sarebbe arrivato stanotte». Un giorno lo incontrai al bar dell’Ansa e provai a contestare quelle sottolinea­ture degli errori con la matita rossa dicendo che noi spesso dettavamo «a braccio» (per i più giovani: senza leggere da appunti o testi scritti). «Vorresti dettare leggendo una bella notizia d’agenzia? Troppo facile. Ricordati che tu sei l’Ansa», chiuse la discussion­e facendomi sentire orgoglioso di far parte di quella squadra. E poi è stato il Direttore anche fuori da via della Dataria. Mentre tifava in tribuna per la squadra di calcetto della sua Ansa che vinceva il trofeo Grandi Firme. Ricordi indimentic­abili di un immenso Direttore. Lo so Direttore che avresti fatto una doppia sottolinea­tura rossa sotto la parola immenso. Ma per una volta fammi passare questa trasgressi­one alle tue regole.

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