Auto, la fabbrica Lotus avrà il cuore tecnologico tutto «made in Italy»
Il passaggio a un modello più sostenibile di mobilità non sta solo modificando le auto, ma anche il modo con cui queste ultime si realizzano: layout flessibili, modulari e scalabili per rispondere alle variazioni - qualitative e quantitative - della domanda.
La rivoluzione è partita da Tesla, alla ricerca di un sistema che permettesse di partire da piccoli numeri, ma che fosse incrementabile al bisogno e che al contempo contemplasse la possibilità di cambiare i modelli in corsa: tutto il contrario, insomma, del modus operandi dei big dell’automotive. La risposta è arrivata da Beinasco, vecchia cintura dell’indotto Fiat di Torino, dove Cpm ha pensato di rifunzionalizzare gli Agv (gli Automatic Guided Vehicle) della logistica industriale utilizzandoli per spostare i telai e le meccaniche delle automobili. L’idea è piaciuta anche a Lamborghini per la linea del Suv Urus, a Stellantis, che ha scelto l’azienda guidata dall’ingegnere Massimo Bellezza e partecipata al 50% dai tedeschi di Dürr per comporre la 500E e la Maserati Mc20, e oggi ha conquistato Lotus, che ha commissionato a Cpm la realizzazione della pipeline dell’ultima supercar Emira. «Siamo stati i primi, una decina di anni fa, a dedicarci alle piattaforme per auto elettriche e oggi l’80% delle nostre commesse deriva da questo settore — spiega Bellezza —, il che richiede logiche di assemblaggio diverse rispetto ai mezzi tradizionali».
Una transizione complessa e costosa: meglio allora investire in una fabbrica che si possa montare e smontare. Come un puzzle.