Le tre diverse partite degli alleati E Matteo vede Bossi
Blitz a Gemonio. Il fondatore atteso a Roma
ROMA Le ore della tattica non sono ancora terminate. Per il centrodestra, la lunga sequenza di incontri e di «ti do la mia parola» non si chiuderà oggi con il summit dei tre leader. Un appuntamento che fino a ieri sera non aveva ancora una sede — anche Villa Grande resta assai probabile — né un’ora di convocazione. In realtà, nell’alleanza neppure sono tutti sicuri che Silvio Berlusconi farà il passo indietro che ci si attende. Tutti dicono: «Lo farà al 99%. Silvio è imprevedibile».
Ma la novità della giornata è l’incontro tra Salvini e Bossi a Gemonio. In ogni caso, se anche il fondatore di Forza Italia annunciasse la rinuncia alla corsa al Quirinale, il nome di chi dovrebbe sostituirlo in nome del centrodestra unito, oggi difficilmente apparirà. La ragione più ovvia è che nessuno intende dare un aiuto agli «altri» in modo che possano orchestrare contromosse.
Anche se «gli altri», centrosinistra e 5 Stelle, sono coloro con cui in queste ore ci si confronta per cercare di mettere almeno qualche punto fermo. Ieri è stato smentito l’incontro di Matteo Salvini con Matteo Renzi. Dopo le 19 una nuova nota leghista informava che il segretario «ha contattato tutti i leader (a partire da quelli della maggioranza che sostiene il governo Draghi) per avvisarli del vertice di centrodestra programmato per domani a Roma». Parola chiave: «Lavori in corso». Il segretario leghista, ad ogni modo, garantisce «una candidatura di alto profilo».
Ma la ragione per cui il nome difficilmente apparirà già oggi è che il centrodestra, a dispetto degli appelli all’unità della coalizione, unito non è poi molto. Anzi, non lo è affatto. Troppo divergenti sono le ambizioni di leader, troppa la diffidenza reciproca. Tra i leghisti, la grande paura ora è
che Silvio Berlusconi oggi faccia sì un passo. Ma non indietro: soltanto «di lato». Che significa? Brontola un leghista: «Non è che adesso il Cavaliere verrà a bocciare i nomi a cui stiamo pensando...». Il salviniano si riferisce a un refrain delle ultime settimane. E cioé: «Berlusconi non accetterà mai un candidato di centrodestra puro. Perché quello avrebbe potuto essere soltanto lui, che il centrodestra ha fondato e che, ancora unico, ha portato alla vittoria».
Del resto, nessuno è davvero convinto che i tre nomi che fino a qui sono circolati abbiano la possibilità di raggranellare più voti di quelli del centrodestra. La presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, l’ex sindaca di Milano Letizia Moratti, l’ex presidente di Palazzo Madama Marcello Pera. Il problema è che se i nomi restassero soltanto quelli, sia pure meno «divisivi» di Berlusconi, difficilmente potrebbero trovare molti consensi fuori dalla coalizione.
E il punto vero ha il nome e il cognome di Mario Draghi. Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia mitragliano da giorni il premier con particolare energia. Il capogruppo Francesco Lollobrigida ieri ha tuonato: «Mentre ogni giorno l’Italia fa la conta dei nuovi positivi, a causa di scelte sbagliate e illogiche, l’esecutivo vara l’ennesima follia più consona a un regime che non a una democrazia occidentale». Del resto, FdI è all’opposizione. Però, chi meglio di un presidente del Consiglio che si sposta ad altro incarico potrebbe avvicinare il Paese a elezioni anticipate che assegnerebbero a Meloni la forza che tutti i sondaggi le attribuiscono? In FdI, il sogno si trasforma addirittura in vertigine: «E se l’incarico di formare il governo fosse conferito a Giancarlo Giorgetti?». Ma qui si sconfina nella fantapolitica.
È invece molto probabile che Umberto Bossi lunedì parteciperà all’elezione del nuovo capo dello Stato: Matteo Salvini è andato da lui ieri a Gemonio e ha fatto che è stato un incontro «affettuoso, utile anche per un confronto su Quirinale e governo». Insomma, il Senatùr torna a Roma.