Candidato e patto di legislatura C’è l’accordo tra Letta e Renzi
Il capo di Iv dopo l’incontro: nessun ostacolo a Draghi se si candida, ma dialoghi con i leader
ROMA Non si sono rinfacciati niente, e questo è già un passo avanti. Non solo gli screzi del passato (del resto da allora si erano già visti) ma anche le divergenze d’opinione più recenti. Enrico Letta e Matteo Renzi, a tu per tu nell’ufficio di quest’ultimo a palazzo Giustiniani, sono riusciti a trovare un terreno d’intesa. Il leader di Italia viva, intervistato da Myrta Merlino all’Aria che tira, su La7, l’ha sintetizzata così: «Sono d’accordo con Enrico, che ha detto che serve un patto di legislatura. Litigheremo nel 2023».
Non è un messaggio a Letta, questo dell’ex premier, ma è un segnale a Draghi. Un segnale che tutti i partiti alla fine della festa gli vogliono mandare prima di dire sì alla sua andata al Colle. Lo riassume un autorevole esponente del Pd con queste parole: «Il premier deve capire che se vuole andare al Quirinale nessuno lo ostacolerà, ma lui deve aprire una trattativa seria con i partiti». Sono suppergiù le stesse parole che Renzi ripete ai suoi dopo l’incontro: «Draghi si deve mettere a un tavolo e parlare con i leader, così la sua andata al Colle sarà in discesa».
E Renzi prosegue così, per spiegare ai parlamentari di Italia viva che la legislatura continuerà anche se il premier succederà a Sergio Mattarella: «È ovvio che lui decida alcuni ministeri chiave, come l’Economia, perché non dobbiamo dimenticarci che c’è il Pnrr da portare avanti, ma poi deve ascoltare e concordare». Renzi fa questo ragionamento anche a Letta, che condivide. Pure per il segretario del Pd la strada di Draghi passa per i partiti. I due, cioè Renzi e Letta, non sono d’accordo sulla «golden share» del centrodestra. Secondo Renzi è difficile eluderla, il segretario del Pd su questo non è d’accordo. «Possiamo accettare dei nomi che fanno loro solo se si tratta di figure istituzionali. Si può ragionare su Giuliano Amato, per esempio...». Ma il nome che gira in queste ore nel centrosinistra non è quello dell’ex esponente socialista, bensì quello di Elisabetta Belloni. Ma anche della giurista Paola Severino, del presidente del
Consiglio di Stato Filippo Patroni Griffi, del fondatore di sant’Egidio Andrea Riccardi. E soprattutto di Pier Ferdinando Casini. Anche perché lo stesso Letta sa bene che Conte su Amato ha già detto no: «Non posso proprio accettarlo, i miei non potrebbero mai votarlo».
Nel Pd prendono atto del fatto che con Renzi è possibile un’intesa. I dem hanno trovato un alleato, per quanto con posizioni sue, e ormai pensano anche loro che è difficile opporsi a Mario Draghi. «Alla fine della festa — dice un autorevole esponente del Pd che non simpatizza per il premier — non potremo fare altro che votare lui». Dice Stefano Bonaccini: «Credo se Draghi diventasse il punto di incontro nessuno potrebbe dirgli di no». Eppure la via è ancora irta di ostacoli, tant’è vero che sia Letta che Renzi sono convinti che la situazione non si sbloccherà presto, neanche nel caso in cui Berlusconi dovesse fare un passo indietro. «Prima di giovedì o venerdì non avremo il nome», dice Renzi in tv. Anche il segretario del Pd la pensa così, però sta lavorando per riuscire a risolvere prima. Per questa ragione ieri ha visto praticamente tutti: il segretario del partito socialista Enzo Maraio e il leader dei verdi italiani Angelo Bonelli e poi i rappresentanti della Svp. Vorrebbe stringere le fila prima di lunedì. Domani rivedrà Renzi, Conte e Speranza. Poi incontrerà i suoi grandi elettori. Ma all’ordine del giorno di queste riunioni non c’è il nome del presidente della Repubblica. Non ancora. Piuttosto la decisione da prendere sulle prime votazioni se, come è probabile, andranno a vuoto. Scheda bianca? Qualcuno aveva proposto Rosy Bindi. Ma lei si è negata, non si vuole sottomettere al gioco dei partiti. Anzi rilancia: «Meglio Draghi al Quirinale per sette anni, che a Palazzo Chigi per qualche mese...».