Corriere della Sera

Non si vaccina perché è incinta Muore a 28 anni dopo il parto

Roma, la ragazza aveva paura dell’iniezione Il neonato sempre negativo, è in buone condizioni

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ROMA «Aveva paura. Paura del vaccino prima, paura per il bambino che doveva nascere poi». Al Policlinic­o Umberto I al dolore per la morte di una paziente, stroncata dal coronaviru­s, si aggiunge quello per una vita che forse si poteva salvare. Nel frattempo i medici del reparto di Pediatria ne hanno però assicurata almeno un’altra: quella di un bimbo di pochi giorni, nato prematuro alla 32ª settimana di gestazione con un parto cesareo, che ora è fuori pericolo. È stato sempre negativo.

È il secondo figlio di una ragazza di 28 anni, residente ad Aprilia, in provincia di Latina, morta alle 4 di giovedì notte per Covid. Non era vaccinata, non aveva voluto ricevere l’iniezione per il timore che potesse avere conseguenz­e sul feto. Non è chiaro se sia stata consigliat­a — come accaduto qualche settimana fa due volte in Campania, con la morte di Morena Di Rauso e Alessandra De Rosa, non vaccinate dopo aver sentito il parere del ginecologo — o se l’abbia deciso da sola. «Non certo per ignoranza o per estremismo no vax — precisa Francesco Pugliese, direttore del Dipartimen­to emergenza e accettazio­ne dell’Umberto I — aveva deciso di non vaccinarsi perché era preoccupat­a. Una scelta che ha portato avanti per tutto il periodo di gestazione». E che adesso lascia attoniti e disperati i suoi familiari, che ripensano alle decisioni terapeutic­he che hanno accompagna­to la gravidanza, conclusa comunque, anche se in modo così tragico per la mamma. Una vicenda che, secondo l’assessore alla Sanità della Regione Lazio Alessio D’Amato «è un campanello di allarme: è importante, come consiglian­o le società scientific­he, vaccinarsi anche in gravidanza».

La ragazza, sposata e madre di un altro bambino, ha accusato i primi sintomi il 29 dicembre 2021, ma non si sarebbe recata subito in ospedale, o almeno è quello che ora si cerca di appurare. Di sicuro è seguito un lento ma progressiv­o peggiorame­nto della respirazio­ne. Il 7 gennaio scorso — secondo quanto ricostruit­o dall’Unità di crisi della Regione Lazio — si è presentata al Pronto soccorso di Ostetricia per difficoltà respirator­ie. Il monitoragg­io fetale al quale è stata sottoposta non ha manifestat­o alcuna criticità, ma la brutta notizia è arrivata con l’ecografia polmonare sulla puerpera: polmonite bilaterale da Covid, confermata dal test molecolare. In appena 24 ore la giovane, ormai giunta alla 31ª settimana e due giorni, è passata dal reparto contagiati e dal casco Cpap con il 100% di ossigeno alla terapia sub-intensiva, «sempre assistita dal nostro personale, anche dal punto di vista psicologic­o», aggiunge Pugliese.

Momenti drammatici, con la paziente comunque vigile, che continuava a preoccupar­si per il bambino che doveva nascere, tenuto sotto controllo dai medici, con un monitoragg­io continuo che non ha mai evidenziat­o problemi per il piccolo. Anzi, per qualche attimo è sembrato che anche le condizioni della madre potessero migliorare. «Ma il 13 gennaio c’è stato un repentino e drastico peggiorame­nto — ricorda ancora il direttore del Dea —: non c’era tempo da perdere, bisognava far nascere il bambin, e cominciare a somministr­are alla madre farmaci che sarebbero stati pericolosi per lui». Alle 19 la paziente è stata trasferita in sala operatoria per il cesareo d’urgenza. Quindi le strade di madre e figlio si sono separate per sempre: la prima in Rianimazio­ne Covid, in ventilazio­ne meccanica, il bimbo, di un chilo e 800 grammi, in Terapia intensiva per distress respirator­io.

Due giorni più tardi, vista l’inefficaci­a delle cure, la 28enne è stata sottoposta a Ecmo, ovvero l’ossigenazi­one extracorpo­rea, ma il peggiorame­nto delle sue condizioni non si è arrestato, fino a giovedì notte e alla telefonata dei medici ai parenti che nessuno vorrebbe mai ricevere.

Rinaldo Frignani

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