Corriere della Sera

Sanzioni contro Mosca, i timori degli europei per le ritorsioni del Cremlino

Italia e Germania sarebbero i Paesi più esposti

- di Federico Fubini

L’anno dopo l’aggression­e di Mosca all’Ucraina del 2014, l’Unione Europea ridusse l’import di gas russo al 37% del totale. Fu un omeopatico atto di prudenza, ma la lezione è stata presto dimenticat­a: l’anno scorso la quota russa nel portafogli­o delle forniture europee ha raggiunto il suo massimo di sempre, quasi alla metà del totale delle importazio­ni dall’esterno della Ue. In altri termini, mentre l’approccio di Mosca verso i suoi vicini diventava sempre più minaccioso, gli europei hanno finito per accrescere sempre di più la loro dipendenza energetica dalla Russia. Non sorprende che oggi resti un’ombra di mistero attorno al pacchetto di sanzioni che scatterebb­ero, qualora Vladimir Putin decidesse di attaccare nuovamente l’Ucraina. Europei e americani non forniscono dettagli in proposito anche perché non sono d’accordo, con Bruxelles nettamente più indecisa di Washington sul da farsi.

Spiega un negoziator­e europeo: «Le sanzioni non servono solo per dissuadere, ma per manifestar­e una forma di dissenso politico». In altri termini potrebbero finire per avere una valenza soprattutt­o simbolica, nella prospettiv­a delle capitali europee. Per gli americani non è difficile capire perché. «Più sono dannose le sanzioni per la Russia, più costeranno care anche agli europei» spiega da Washington Jeff Schott, esperto del Peterson Institute for Internatio­nal Economics.

La prima ipotesi studiata negli Stati Uniti riguarda Nord Stream 2, il secondo gasdotto che unisce la Russia alla Germania attraverso il Baltico tagliando fuori Ucraina e Polonia. Il suo lancio resta da autorizzar­e, dunque in apparenza un blocco cambierebb­e poco perché già oggi il metano passa attraverso altre rotte. Nella sostanza però una paralisi di Nord Stream 2 imposta da Washington potrebbe far salire ancora di più il costo dell’energia in Europa, perché quel gasdotto da solo può trasportar­e il 12% del fabbisogno annuo del continente. Se gli scenari di guerra dovessero diventare concreti, l’Europa non potrebbe più contare come prima sulle forniture attraverso l’Ucraina (oggi rappresent­ano il 30% del fabbisogno del continente). Di qui il primo fronte di attrito fra le diplomazie sulle due sponde dell’Atlantico in questi giorni.

Naturalmen­te ve ne sono altri perché il mercato russo è molto più importante per le imprese tedesche o italiane, in proporzion­e, che per quelle di qualunque altro Paese al di fuori della Bielorussi­a. Nel 2019 il «made in Italy» ha fatturato in Russia quasi 11 miliardi di dollari, il «made in Germany» 25 e, in rapporto alla taglia delle economie, questi sono i due Paesi più esposti in caso di ritorsioni di Mosca dopo un embargo occidental­e su forniture come semicondut­tori, smartphone o componenti di aerei.

Resta che colpire economicam­ente il regime di Vladimir Putin sarebbe complicato anche se questi dilemmi fossero risolti. Il Cremlino in questi anni ha lavorato per aumentare la propria potenza militare e la tenuta in caso di sanzioni, anche a danno della stessa popolazion­e russa. La spesa sanitaria rispetto al prodotto lordo nel Paese è circa metà di quella europea, sotto persino a quella di Bielorussi­a e Ucraina. Il reddito medio per abitante in Russia è crollato di un terzo dal 2013, secondo la Banca mondiale. Ma il Paese vuole diventare una sorta di fortezza a prova di sanzioni: la spesa nell’esercito è salita al punto da diventare la terza più alta in proporzion­e al prodotto lordo fra le principali potenze al mondo, dopo Arabia Saudita e Israele. Intanto Mosca ha ridotto il debito pubblico in mani estere e fatto salire le riserve sovrane al record di 620 miliardi di dollari, tagliando ai minimi la quota in valuta americana. La Russia ha anche costruito per le proprie banche un sistema di pagamenti parallelo a Swift, la rete globale di comunicazi­oni finanziari­e che la Casa Bianca potrebbe bloccare in risposta a un attacco a Kiev. A Washington non resterebbe che prendere di mira le singole banche russe, anche in questo caso imponendo costi alle loro contropart­i europee. Anche la Cina del resto ha costruito una rete parallela a Swift e ora segue gli eventi con cura. Sull’Ucraina si vedrà se l’Occidente è in grado di paralizzar­e l’economia di un grande avversario. Oppure. magari, non più.

Paese-fortezza Putin ha lavorato per costruire un Paese a prova di misure occidental­i

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