Cliché e retorica Di questa terra si sa ancora poco
C’è il tintinnio dei bicchieri nell’osteria, che fa passare l’idea di un’umanità rintronata dall’alcol. C’è il dialetto nelle varianti grevi e quasi impronunciabili. C’è il lavoro vissuto come un’ossessione (Ferdinando Camon dice che la gente del Nordest ha il «complesso del bue», perché non sta bene se non è sotto sforzo). Ci sono le donne nella loro dimensione più umile, ma viste non come le vezzeggiate camerierine goldoniane, quanto come serve trattate peggio delle bestie. C’è il padre-padrone anaffettivo, che domina sulle proprie terre con pugno barbarico. E c’è una nebbia perenne, case umide e sporche, miseria. Mancano le sfilate di preti, utili a rafforzare l’immagine di una comunità arcibigotta. E pure gli alpini, con la loro epica del sacrificio, meglio se inutile. Per il resto, però, c’è l’intero catalogo dei luoghi comuni sul Veneto nella fiction tv La sposa ambientata tra la Calabria e la provincia di Vicenza sul finire degli anni Sessanta. Storia carica di stereotipi e inverosimile. È curioso, ma nel 1957 il romanziere vicentino Guido Piovene compì un «Viaggio in Italia» in cui descrisse con ammirazione queste campagne. «C’è qui un ottimismo morale, sociale, progressista che si nutre dell’ottimismo veneto che non cede all’ostacolo…». Possibile che, pur essendo concentrato su una realtà in trasformazione, non avesse colto tracce del mondo arcaico, misogino e violento descritto nel film? Possibile che neppure un poeta sensibilissimo alla sfera contadina come Andrea Zanzotto, vissuto a pochi chilometri, abbia mai evocato brutalità e scelleratezze come quelle su cui è costruita la storia della donna «comprata» come una fattrice attraverso un matrimonio per procura? Certo, nel Veneto di allora resistevano ancora parecchie arretratezze e la secolare emigrazione restava un fenomeno socialmente rilevante. E sì, si affacciavano anche forme di xenofobia poi esasperate dal protoleghismo. Il problema è che, bollati come rancorosi e avidi, i «polentoni» veneti si sono guadagnati l’antipatia di molti italiani. I quali magari sanno poco della storia di questa terra, cui è stato facile assegnare il marchio di «deserto morale». Si sa, la letteratura, come il cinema, autorizza qualsiasi invenzione e la censura è sbagliata per principio. Ma non sarebbe male ricordare che il popolo del Cadore, quando nel 1420 scelse di farsi governare dalla Serenissima, chiuse la propria assemblea proclamando «Eamus ad bonos venetos». Perché questa era la reputazione di questa gente: bonos, buoni…