Applausi e lacrime, gli angeli di Virgil
Sfilate di Parigi. Louis Vuitton e l’ultima collezione di Abloh, scomparso a novembre
Sfilano uomini vestiti di bianco con grandi ali e strascichi e veli. Quello era il copione di Virgil Abloh e quello è stato: in abiti e musica e atmosfera. E sono stati applausi e lacrime: tutto in piedi, sul perimetro del Carreau du Temple, a Parigi. L’ultima sfilata Louis Vuitton firmata dallo stilista scomparso il 28 novembre ha davvero l’impatto di un testamento stilistico ma anche umano. Ci sono i look che sono il vocabolario del guardaroba del designer: i pezzi della strada (dalle felpe ai cargo agli anorak ai trench ai blouson alle tshirt alle giacche ai bermuda ai cappelli e alle borse) ripensati in chiave sartoriale. «Lo streetwear è una comunità, una merce — è tra le frasi firmate Virgil, raccolte e stampate e messe a disposizione —. In questo secolo il lusso deve essere grezzo per essere reale. Oltre l’autenticità». Così è, per sempre: il suo credo.
«Non ho la pazienza necessaria per non essere un creativo»: un’altra profetica frase. Anche per questo show aveva già previsto tutto: la sfilata con i 67 look, i ballerini di parkour, la musica dal vivo scritta ad hoc dall’amico rapper Tyler e suonata dall’orchestra diretta da Gustavo Dudamel. Escono nel finale i collaboratori ai quali Virgil ha lasciato in regalo quelle pagine di appunti e disegni e riflessioni di otto capitoli (tante sono state le sue collezioni) di moda scritti per Louis Vuitton.
Difficile oggi immaginare chi potrebbe raccogliere un’eredità che ha sfidato (e vinto) il (poco) tempo.
Nessuna defezione (inaspettatamente) in questa settimana di moda uomo a Parigi. Chi doveva esserci c’è stato. E ha fatto pure le cose in grande come Kim Jones per Christian Dior che ha ricostruito addirittura sotto un tendone il maestoso Ponte Alexander III con le sue statue d’oro e i suoi lampioni di ghisa. Non a caso, perché su quel ponte monsieur Dior amava passeggiare e su quello scenario fotografò il suo new look. Per i 75 anni da quella rivoluzione stilistica, Jones disegna una collezione per un moderno «parisien». Sofisticato, elegante, minimale con il suo basco d’artista esistenzialista calato in testa. Un dialogo-ponte (rieccolo) fra passato (i fiori di Dior, i ricami, i pied de poule, la toile de jouy) e presente (la sartorialità inglese e i colori e le collab, questa volta con Birkenstock, di Jones).
Da Rick Owens, infine, ecco gli «strobe man», ministriguerrieri di una religione sconosciuta in tuniche di rete e gonne dalle lunghe code. I nuovi plissé di Miyake e l’over lanoso di Acne.