Le forme del sogno
Una lampadaluna, una poltrona-mela, i tavolini-rebus. C’è un design che dà alla funzione un aspetto poetico. In cerca di nuove empatie
Non c’è alcun dubbio che gli oggetti di questa pagina abbiano una funzione, eppure non è questo il primo aspetto che ci colpisce. Una sognante luna (luminosa), la mela nel cappello (su cui sedersi), un gioco di cerchi (diventati tavolino), teiere e orologi che sembrano usciti dalla fiaba di Alice nel paese delle Meraviglie: sono sì arredi, ma capaci di muovere la fantasia e suggerire un mondo meno concreto e più poetico. Oggetti empatici, e non solo servizievoli.
Il segreto sta nel riuscire a combinare entrambi gli aspetti, come sottolineano i designer che hanno fatto del sogno l’estetica dei loro progetti. «La luna, per esempio, è una figura familiare che abbiamo nel cuore. Qualcosa di irraggiungibile che desideriamo, non a caso si dice “volere la luna”», spiega Marcantonio (designer-artista) del maxi spicchio di luna scelto come soggetto per il suo dondolo luminoso My Moon. «Sono un sognatore e cerco sempre temi semplici e immediati ma capaci di emozionare, e li traduco in oggetti che riescono a parlare alle persone. Credo che così, oltre a essere utili, abbiano il potere di distoglierci dalle malinconie». Come dire, torni a casa, ti distendi su una chaise longue-luna e ti rilassi: «Il corpo si riposa con l’ergonomia, la mente si distrae grazie alla forma capace di strapparti un sorriso». Insomma, un design che include nelle sue funzioni l’emozione. «Sì, è un diverso approccio progettuale. C’è chi è fautore del design che svolge la sua funzione in modo tecnico, passando inosservato. Io credo che confortevole voglia anche dire confortante. Oggi abbiamo bisogno di sensazioni belle, e questo tipo di oggetti possono comunicarcele».
La designer Elena Salmistraro da sempre applica ai suoi progetti una creatività immaginifica, all’inizio rivolta soprattutto ai piccoli oggetti, ora estesa sempre più ai mobili. Tra gli ultimi esempi, i tavolini Sangaku. «Mi piaceva l’idea di ispirarmi a un gioco, in questo caso il concetto delle tavolette giapponesi – i sangaku, appunto – che riportano incisi dei problemi senza soluzione basati su cerchi inseriti uno nell’altro», racconta della loro genesi. Ne è nata una serie di tavolini dai piani intersecati, semplici solo in apparenza. «La messa a punto per renderli stabili è stata complessa», spiega. «Per me è una nuova sfida, di maturità. Una volta mi interessava soprattutto la forma, ora invece parto da aspetti legati alla produzione - come la scelta e la provenienza dei materiali e i dettagli tecnici - a cui integro l’estetica emotiva: in questo caso, la grafica e i colori pop, freschi o tenebrosi. Con un effetto “potente” che colpisce e crea empatia con chi li sceglierà».
Gioco, sogno, fantasia: come li accoglie il mondo della produzione? «Una volta farli accettare era impossibile, interessava solo l’approccio minimalista. Oggi invece il decorativo piace: è accolto bene, e persino richiesto espressamente dalle aziende», dice Alessandra Baldereschi, designer dalla creatività delicata,
Salmistraro
«Non è stato facile riportare in un arredo il concetto del sangaku, le tavolette giapponesi»
Baldereschi
«Una volta le aziende volevano solo lo stile minimalista. Invece oggi il decorativo piace»
raccontando del successo della serie di vetri da tavola Greenwood. «Ho iniziato reinterpretando la forma e aggiungendo solo semplici elementi vegetali. E poi ho proseguito trasformando animali in manici e osando inserirli anche senza che avessero una funzione». Così gufi, procioni, orsi approdano (fiabescamente) sul fondo di brocche e bicchieri, poetici ma surreali.
In fondo niente di nuovo: basta guardare MAgriTTA, seduta spiazzante ideata da Sebastian Matta nel 1970 e appena rieditata da Gufram, citazione della bombetta e della mela icone surrealiste di Magritte. É il frutto a essersi ingrandito o il cappello rimpicciolito? Scultura (rigida) o poltrona (morbida)? Nella funzione come nell’estetica qualcosa non torna. Anzi torna tutto, perché sono proprio le sue contraddizioni a rendere intrigante questa seduta. Da usare in nome del nuovo binomio «sogno e funzione».