La Svizzera tragica di Liliana e del padre Storia di un rigetto
Un documentario indaga sul respingimento
«Fu terribile». Così la senatrice a vita Liliana Segre rievoca il respingimento subito in Svizzera, quando l’8 dicembre 1943 con il padre Alberto e con due anziani cugini, Rino e Giulio Ravenna, cercò di passare la frontiera per sfuggire alla persecuzione nazifascista contro gli ebrei. Nel piccolo centro elvetico di Arzo, nella zona di Mendrisio, un ufficiale ottuso e sprezzante li bollò come impostori e li rimandò indietro senza alcuna considerazione per i rischi che correvano. Liliana Segre, allora tredicenne, ricorda che si gettò ai suoi piedi per implorarlo, ma fu tutto inutile. Riportati nel boschetto dove i soldati svizzeri li avevano trovati, si diressero al confine, che avevano passato con l’aiuto di contrabbandieri, e furono catturati dalla Guardia di finanza della repubblica di Salò. Vennero poi deportati ad Auschwitz dai tedeschi e soltanto Liliana sopravvisse.
La vicenda appare per molti versi anomala, soprattutto alla luce delle più recenti ricerche d’archivio, secondo le quali l’85,6% degli ebrei che passarono la frontiera della Svizzera italiana furono accolti. Così il giornalista Ruben Rossello, con la consulenza dello storico Adriano Bazzocco, ha avviato un’indagine, da cui è scaturito un accurato e toccante documentario televisivo, Arzo 1943, che va in onda domani alle 20.40 sulla RSI Radiotelevisione Svizzera e da lunedì sarà visibile in Italia sul sito www.rsi/storie.ch.
Un primo dato da sottolineare è che i risultati dell’inchiesta coincidono perfettamente con i ricordi di Liliana Segre. Tra l’altro alla realizzazione del documentario hanno partecipato i due figli della senatrice a vita, Alberto e Luciano Belli Paci, che hanno ripercorso l’itinerario seguito nel 1943 dalla madre e dal nonno nel tentativo di trovare rifugio. Dal registro relativo all’afflusso dei profughi risulta che l’8 dicembre quattro rifugiati ebrei, tre uomini e una donna, furono respinti ad Arzo alle ore 14.10. E un’annotazione analoga si trova nel diario del reparto militare di stanza in quella località.
Per capire meglio come andarono le cose bisogna fare un passo indietro. Subito dopo l’8 settembre 1943, con l’occupazione tedesca dell’Italia, un gran numero di nostri connazionali, soprattutto militari sbandati ma anche i primi ebrei, cercò rifugio in Svizzera. Il Consiglio federale, cioè il governo svizzero di Berna, venne colto di sorpresa: inviò reparti dell’esercito al confine per gestire il flusso, poi decise il 18 settembre una sostanziale chiusura della frontiera. Così nella seconda metà di settembre la quota degli ebrei respinti, che prima era bassa, raggiunse il 47,9%.
A questo punto però le autorità cantonali ticinesi insistettero per un atteggiamento di maggiore disponibilità in nome dei sentimenti di amicizia verso l’Italia. E il 28 settembre 1943 venne emanato l’ordine di servizio n. 4 rivolto alle Guardie di frontiera, nel quale si indicavano tra i rifugiati da accogliere anche «determinate persone di razza ebrea». Grazie a questa disposizione, tra ottobre e novembre oltre 1.200 ebrei vennero accolti nella zona di Mendrisio e la percentuale dei respinti scese al 5,3%.
Ai primi di dicembre tuttavia vi fu una seconda stretta, dovuta all’afflusso intenso di profughi causato dal decreto della Repubblica sociale che, il 30 novembre 1943, disponeva l’arresto di tutti gli ebrei. Un ordine giunto da Berna modificò le istruzioni. E proprio in quel periodo di maggiore chiusura fra il 3 e il 10 dicembre, in cui i respingimenti salirono al 40 per cento, si colloca l’episodio dei Segre.
C’è di più. La compagnia di stanza ad Arzo, proveniente dal Canton Friborgo, venne ispezionata dal capo del dipartimento militare dello stesso cantone, il consigliere di Stato Richard Corboz, proprio la mattina dell’8 dicembre, quando Liliana Segre, suo padre e i cugini, attraversata la frontiera, furono intercettati dai soldati. Si spiegano così le lunghe ore di attesa nel corridoio di una scuola (quella dove erano acquartierati i militari) di cui riferisce la senatrice a vita: gli ufficiali erano impegnati altrove per l’ispezione.
Se poi si verificano, come ha fatto scrupolosamente Rossello, le note caratteristiche di quegli ufficiali, dei quali per la legge svizzera non può essere rivelato il nome, si trova che dei tre presenti ad Arzo, uno aveva dimostrato eccessiva impulsività, l’altro limiti sul piano psicologico. Forse questo, oltre alle direttive provenienti dall’alto, spiega come mai uno di loro trattò così brutalmente i quattro fuggiaschi, invece di lasciare la decisione alla Guardia di frontiera, benché ragioni umanitarie evidenti suggerissero di agire all’opposto.
Va aggiunto che dalla metà di dicembre del 1943 la situazione cambiò e i respingimenti di ebrei dal Mendrisiotto scesero quasi a zero. Ma la sorte dei Segre era segnata. Una vicenda agghiacciante, tipica di un periodo crudele, nel quale il caso fortuito, unito all’insensibilità degli uomini, poteva decidere la vita o la morte di persone innocenti sottoposte a una persecuzione di ferocia senza pari.
Proprio in quei giorni giunse l’ordine di effettuare una stretta nell’accoglienza