EMILIA-ROMAGNA, UN SET
Un filo rosso che unisce le zone del mare a quelle cantate da Guccini o raccontate da Tondelli DA PASOLINI A FELLINI, I CINE-ITINERARI (E LA REGIONE PUNTA SULLA CULTURA)
Tra la via Emilia e il West, nei campi dove andava a giocare da ragazzo Francesco Guccini, è qui che sono cresciuti anche i più grandi registi italiani. Sarà che da queste parti pure il lambrusco si beve con i popcorn, ma il cinema ormai fa parte della geografia dell’Emilia-Romagna, come i portici del centro e i chioschi sul lungomare. Esisteva nell’aria, secondo alcuni, da prima che si diffondesse l’invenzione dei fratelli Lumière. Prendete i versi del romagnolo Giovanni Pascoli. «Siedono. L’una guarda l’altra. L’una esile e bionda, semplice di vesti e di sguardi; ma l’altra, esile e bruna, l’altra...». Non sembra l’incipit di una sceneggiatura?
Vertigine della lista. In questa regione sono nati o cresciuti Federico Fellini e Bernardo Bertolucci, Cesare Zavattini e Tonino Guerra, Michelangelo Antonioni e Marco Bellocchio, Pupi Avati e Giorgio Diritti. Sotto le due torri Pier Paolo Pasolini frequentò il liceo Galvani e si laureò in Lettere (con una tesi su Pascoli...), in quelli che furono «gli anni forse più belli della mia vita»; ci tornò per girare in Strada Maggiore l’epilogo dell’Edipo Re, la sua «autobiografia in chiave mitica». Nella bassa padana il nobile lombardo Luchino Visconti girò Ossessione, e aprì la strada al neorealismo.
In questi tempi complicati anche per chi ama il cinema (quello vero, in sala) la Regione Emilia-Romagna e la cineteca di Bologna propone una serie di percorsi «cineturistici», passeggiate ed escursioni attraverso set cinematografici, luoghi della memoria di grandi registi, panorami entrati nell’immaginario di generazioni di spettatori.
Ci sono la Bologna di Pasolini, dove il poeta nacque un secolo fa, e la Rimini felliniana, «dove nulla si sa e tutto si immagina», con il cinema Fulgor, il Grand’Hotel («Signor principe, gradisca…»), il molo dei Vitelloni; ma anche Brescello, il piccolo mondo di don Camillo e Peppone, e la Bassa Romagna di Novecento, tra Busseto, set principale del film, alle terme liberty di Salsomaggiore, fino al centro storico di Guastalla e a villa San Donnino nel Modenese.
E poi c’è la Ferrara di Antonioni, che ha fatto da sfondo alla Lunga notte del ’43 e al Giardino dei Finzi Contini;e ancora Ravenna, dove passeggiano i protagonisti di Deserto Rosso, e la provincia dei Pugni in tasca. «Se di Nouvelle Vague italiana si può parlare — ha raccontato Bellocchio — la sua culla è l’Emilia».
E poi c’è il film più autentico, Amarcord, che naturalmente fu girato tutto a Cinecittà. Tutto falso, tutto vero. La Romagna, nella vita immaginaria di Fellini, è «un miscuglio di avventura marinara e di chiesa cattolica. Una strana psicologia arrogante e blasfema, dove si mescolano superstizione e sfida a Dio. Uno dice: mangio otto metri di salsiccia, tre polli e una candela. Anche la candela. Cose da circo. E poi lo fa». Questa terra fantastica e avventurosa esiste davvero, basta guardarla.