«Uomo per uomo è un Supernapoli Spalletti mi sgrida e io lo ascolto»
Chi lo avrebbe detto che il calciatore messicano più pagato della storia avesse il viso di un ragazzo qualunque, vestisse come uno qualunque. Che non viaggia in Maserati e non ostenta orologi di marca? Hirving Lozano, 26 anni, esterno d’attacco del Napoli, acquistato per 50 milioni ai tempi di Ancelotti (estate 2019), è l’antidivo. Quello che sta bene con tutti ma non è amico di nessuno, che vive la città e si concede ai tifosi, ma poi rivela: «Non si può piacere a tutti sempre e comunque». «Estoy muy feliz», ripete più volte. Come fosse un mantra. Quando parla sorride con gli occhi, pure se mostra la cicatrice sotto il sopracciglio sinistro che in estate gli ha fatto passare momenti terribili. Sincero quando esprime il concetto di forza. La doppietta al Bologna non lo ha portato sul piedistallo: «Posso fare di più, devo fare di più».
Lozano, dove arriva quest’anno il Napoli?
«Primo. Giochiamo per lo scudetto, non a nascondino. Il campionato è ancora lungo. Ma siamo forti e dobbiamo guardare più in alto possibile, anche se Inter e Milan che vanno veloci».
L’Inter è più avanti di tutte. «Noi possiamo reggere il confronto, anzi siamo più forti».
Sotto quale aspetto?
«Giocatore per giocatore, uomo per uomo: qui il valore è più alto».
Avete perso tanti punti per strada, però.
«Gli infortuni ci hanno penalizzato. Il Covid, e io so bene cosa significa, ci ha messi al tappeto. Ma siamo ripartiti e possiamo infastidire tutti. Questo virus ha condizionato il mondo. E anche il calcio ha pagato un prezzo alto, per un atleta la ripresa è difficile».
Lei è stato di recente due settimane in isolamento.
«Una sofferenza emotiva oltre che fisica. Il virus è un mostro invisibile che ti prende la testa. Ero in Messico e avrei voluto trascorrere il Natale in famiglia; invece sono stato chiuso in camera tra mille paure. Mi sono ripreso, non ho smesso di lavorare e i risultati si stanno vedendo».
In estate il primo brutto colpo: l’infortunio all’occhio nella Gold Cup in Messico.
«Momenti di terrore, il dolore era fortissimo. Ho temuto di perdere l’occhio. E non volevo rassegnarmi all’idea che non avrei più potuto giocare a calcio. I medici sono stati tempestivi e rassicuranti, poi mi hanno rivelato che il mio occhio era stato a rischio.
Quanta paura, ho rischiato di perdere l’occhio. Il tecnico mi dice: “Fai il diablo”
Una paura che mi sono portato dentro per tanto tempo: la ferita bruciava e ad ogni contrasto temevo il peggio».
Da tre anni a Napoli, mai titolare inamovibile: tra Ancelotti, Gattuso e Spalletti chi le ha dato più fiducia?
«Se consideriamo il numero di partite giocate, siamo più o meno lì. Ancelotti mi ha accolto, con Gattuso all’inizio è stato difficile, poi ci siamo capiti, è andata meglio. Spalletti è il motivatore, l’allenatore di grande esperienza che non soltanto ti dice che bisogna lavorare, ma è il primo a farlo. Mi rimprovera, ma capisco che vuole spronarmi. So anche io che posso dare di più, devo farlo per me stesso e per questa maglia che indosso. “Fai il diablo”, mi dice. Devo aggredire l’avversario».
Si ispira a qualcuno? «Sono cresciuto nel mito di
Messi e Ronaldo».
Lei è il Chucky dai tempi del Pachuca, le piace così tanto la bambola assassina?
«Le bambole che conosco sono quelle con cui gioco con mia figlia. Il Chucky è quello che fa gli scherzi ai compagni per spaventarli. E ci riesco bene. Manolas e Elmas ne sanno qualcosa. Però in campo niente scherzi. Quando Spalletti smetterà di rimproverarmi vorrà dire che sono diventato come Koulibaly, un esempio di rigore e professionalità».
Qualcuno l’ha designata come l’erede di Insigne.
«Insigne ha fatto qui la sua storia, a me manca ancora tempo per fare la mia di storia. Vorrei giocare sempre, questo sì. Ma decide l’allenatore e so che dipende soprattutto da me».
Il suo agente Raiola non sta bene, lo ha sentito?
«A Mino voglio un gran bene e lui ne vuole a me. Abbiamo un rapporto umano oltre che professionale. Ho pregato per lui, ci siamo sentiti e sta molto meglio».
Ha finito di allenarsi, cosa fa?
«Gioco con i miei figli. E poi devo studiare. Sono all’ultimo anno del diploma di educazione fisica. Quando il calcio finisce poi serve un lavoro».
Monica Scozzafava © RIPRODUZIONE RISERVATA
Quando ho finito di allenarmi gioco con i miei figli, poi devo studiare: sono all’ultimo anno del diploma di educazione fisica