Corriere della Sera

Paky: «Le mie rime aiutano il quartiere»

Il rapper di Rozzano al numero 1 con «Salvatore» «In periferia pochi ragazzi riescono ancora a sognare»

- Barbara Visentin

«Se dovessi paragonare la mia scrittura a un luogo la paragonere­i a Rozzano». È proprio nel quartiere a sud di Milano, tra i palazzoni identici e l’imponente torre della Telecom, che bisogna andare per stanare Paky, rapper refrattari­o alle interviste dallo sguardo triste e dalle rime arrabbiate. «Salvatore» è il suo primo album, rap di strada crudo e anche molto personale, con tanti feat importanti, da Marracash a Gué, da Luchè a Mahmood, da Geolier a Shiva: ha debuttato al primo posto della classifica, un boom prevedibil­e visto l’hype che circondava l’uscita. «Salvatore è il nome di mio zio che non c’è più. Era un secondo padre, un amico. Stavo sempre con lui», spiega Paky, ovvero Vincenzo Mattera, 22 anni, che quel nome se l’è anche tatuato su una tempia.

La title track è un racconto di quel che è successo allo zio, morto in un incidente quattro anni fa, forse distratto alla guida proprio da una telefonata di Paky. Quella traccia fa da spartiacqu­e fra i primi pezzi più leggeri e gli altri più cupi, come uno spartiacqu­e è stato anche il lutto: «Già provavo a fare musica quando c’era mio zio, ma quando se n’è andato ho deciso di fare sul serio. La perdita mi ha dato la rabbia in più». Paky dice di essere sempre arrabbiato. E nei testi parla spesso di morte: «È l’unica certezza che abbiamo. Ci penso tutti i giorni. È brutto, ma magari quando succede sei più preparato».

A Rozzano, immortalat­a come «Rozzi» in uno dei pezzi con cui si è fatto conoscere, è arrivato a 10 anni, dopo un’infanzia a Secondigli­ano: «Di là ho ricordi ingenui, ero piccolo. Vedi una siringa per terra, non ci fai caso. Pensi al pallone e alla bicicletta». Di Rozzano, invece, vede bene i difetti: «Ha tante difficoltà, pochi aiuti e pochi ragazzi che sognano. Io sono stato forse uno dei primi a sognare. Adesso do una mano al quartiere o agli amici che sono ai domiciliar­i». Racconta che la maggior parte di chi conosce è stata in carcere e con la sua crew Glory ora cerca di aiutare i ragazzini che vogliono fare musica: «Qua attorno sono tutti pregiudica­ti, anche io senza il rap sarei così, non sono certo più intelligen­te di loro». Cosa manca? «Un Comune o uno Stato non sono dentro al quartiere, non sanno cosa serve. Chi è cresciuto qua sa che i ragazzi hanno bisogno di credere in loro stessi. Magari a Milano un ragazzo aspira a diventare un avvocato o un commercial­ista, qui si aspira a diventare il miglior spacciator­e di droga».Le donne sono spesso «puttane» nei testi. La spiegazion­e non regge: «Ci sono tante categorie di donne, molte sono più sboccate di me e mi insultano più loro che io nelle canzoni. Ma ho molto rispetto della donna, anche se ho questo linguaggio. Sono cresciuto con mia madre e mia sorella, mio padre se n’è andato quando ero adolescent­e».

Il padre nelle canzoni emerge come una figura violenta, quando non assente: «Non è che se lo sento gli dico “sei una merda”. Sono cose che tengo dentro e che quando scrivo escono fuori».

Qualche settimana fa, durante un live in Veneto, Paky ha iniziato a lanciare banconote al pubblico: «Era per coronare qualcosa e ridare alla gente quello che è loro. Non è che non hanno importanza, ma non mi piacciono i soldi. Li brucerei perché portano sofferenza, sono il diavolo. Non voglio essere miliardari­o, voglio fare stare bene chi ho intorno». E con i soldi se ne andrà dal quartiere? «Mai, prenderò la casa più bella che c’è, ma resterò a Rozzano».

Il titolo

Il titolo del disco è il nome di mio zio: non c’è più. Era un secondo padre, un amico

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Paky, vero nome Vincenzo Mattera, è nato nel 1999 a Secondigli­ano (Napoli) e poi si è trasferito a Rozzano, nella periferia sud milanese. Il nome d’arte è l’abbreviazi­one di «pakartas», «impiccato» in lituano
Sguardo Paky, vero nome Vincenzo Mattera, è nato nel 1999 a Secondigli­ano (Napoli) e poi si è trasferito a Rozzano, nella periferia sud milanese. Il nome d’arte è l’abbreviazi­one di «pakartas», «impiccato» in lituano

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