Un Tamberi last minute conquista il bronzo e dona cuore e casa all’Ucraina
Ai Mondiali con Jacobs si è rivista la splendida coppia azzurra
BELGRADO Quei due sono fatti per stare insieme al centro del mondo. E così, mentre Marcell Jacobs scende dal podio dei 60 metri con l’oro di Belgrado al collo, il petto gonfio («Ho tirato un sospiro di sollievo, come a dire: ce l’hai fatta di nuovo, sei stato bravo, hai retto la pressione») e gli americani, Coleman e Bracy, mesti alle spalle, Gianmarco Tamberi sale su quello dell’alto per raccogliere un meritato bronzo. Ha vinto la sua scommessa, quel folle di Gimbo: portarsi a casa una medaglia senza gare nelle gambe. «Era una sfida difficile, avevo saltato una sola volta in allenamento, di solito questi eventi li preparo con 30-40 sedute di tecnica e 5-6-7 gare prima». La presenza last minute del campione olimpico ha motivato la concorrenza, la gara è diventata un garone vinto a quota 2,34 dal coreano Woo, quarto a Tokyo e motivatissimo ieri, appena due errori a 2,31, dove si è deciso il podio. Scavalcato dal sorprendente elvetico Gasch (la Svizzera quarta nel medagliere dietro Etiopia e Usa è il caso di questo Mondiale), Gimbo ha condiviso il bronzo (come l’oro a Tokyo insieme all’amico Barshim) con il neozelandese Kerr. «Tanta roba, nella condizione in cui mi sono presentato — ammette l’azzurro —, quello che ho fatto a Belgrado per me vale tantissimo. Ci ho messo il cuore». Il cuore e la bandiera dell’Ucraina sulla spalla destra, con i nomi dei rivali Bondarenko e Protsenko. E qui comincia un’altra storia: «Bondarenko l’ho sentito, è in salvo in Germania. Mio padre sta ospitando nelle Marche
delle persone che ci ha mandato lui, io sto liberando ad Ancona una casa per accogliere altri ucraini. Dall’inizio della guerra gli abbiamo detto che può contare sul nostro sostegno economico. Di Protsenko invece non ho notizie: temo che sia dentro l’incubo delle bombe in Ucraina…».
Generoso in pedana e fuori, l’insostenibile leggerezza dell’essere Gimbo (per quanto ancora sovrappeso: «Domani comincia la preparazione per la stagione all’aperto e lì ci divertiamo…»), impossibilitato, insieme a Jacobs, a passare inosservato. Cinque giorni di vacanza a Dubai con la sua Nicole per Marcell, come regalo per una stagione indoor chiusa imbattuto, campione del mondo, recordman europeo e italiano (6”41), e poi di nuovo sotto a lavorare al Paolo Rosi di Roma con coach Camossi. «Abbiamo ricreato lo spirito di Tokyo, quei risultati non erano casuali, il mondo continua a temerci — è la sintesi del dio di Olimpia nei 100 e nella 4x100 —. Continuano a chiederci di riprodurre l’abbraccio dell’Olimpiade ma una cosa così non è ripetibile. La presenza a Belgrado di Gimbo è stata importante per tutta la squadra». Già, la squadra. E non è solo l’Italia dei due fuoriclasse: sette finalisti, Weir primato italiano indoor nel peso (21,67 m), Pietro Arese (nessuna parentela) ottavo nei 1500 dell’etiope Tefera che ridimensiona l’alieno Ingebrigtsen, Dosso primatista nei 60 (7”14), Larissa Iapichino 10ª con 6,57 nel lungo di regina Spanovic (miglior prestazione stagionale, record mondiali invece per Rojas nel triplo e il mostruoso Duplantis nell’asta, 6,20), capace di velocità ma non ancora di stabilità nella rincorsa, a 19 anni non può che migliorare.
La base cresce, le punte trainano. E gli Usa nella velocità hanno un incubo chiamato Jacobs. «Aiutandomi ad alzarmi da terra dopo la finale, Coleman mi ha detto: ti aspetto alle outdoor — racconta Marcell —. Va bene, ho risposto, sono pronto. Se nei 60 dall’anno scorso mi sono migliorato 6 centesimi, posso crescere anche nei 100. I conti li lascio fare a coach Camossi, che non mi ha ancora detto dove debutterò nei 200... Ma se azzecco una super partenza, magari con due metri di vento alle spalle, ciao».
Ciao Coleman, ciao Usa e Giamaica, ciao tutti. È la legge di Jacobs.
Jacobs Abbiamo ricreato il clima di Tokyo, ci chiedono l’abbraccio olimpico ma una cosa così non è ripetibile