Scuola di Alpine
Si chiama A4810 Project, il prototipo realizzato dagli studenti dello Ied di Torino su commissione del marchio francese. Nel gruppo internazionale, ragazzi italiani, indiani, cinesi e taiwanesi
Giù il velo. È stata presentata ieri le OGR (Officine Grandi Riparazioni) di Torino la concept car A4810 Project by Ied, il risultato del progetto di tesi dei ventotto studenti del Master in Transportation Design dello Ied Torino in collaborazione con Alpine, brand del Gruppo Renault. Si tratta di una supercar biposto dal powertrain a idrogeno che guarda a un futuro sempre più tecnologico e sostenibile. Il nome simboleggia una sorta di trait d’union fra transalpini, ovvero lo Ied sabaudo e il marchio francese Alpine: 4810 è l’altezza in metri del Monte Bianco, la più alta e maestosa vetta delle Alpi che collega l’Italia alla Francia. I giovani designer hanno concepito una «super berlinette» ad alte prestazioni dal punto di vista sportivo e ambientale. Una concept car leggera ma potente, che strizza anche l’occhio ai modelli protagonisti nelle corse anni Sessanta e Settanta. Visione e innovazione, del resto, fanno rima con tradizione.
Osservando la A4810 salta subito all’occhio il grande lavoro di sottrazione. È questa la novità più dirompente secondo Michele Albera, coordinatore del master e correlatore del progetto di tesi: «Abbiamo lavorato con i vuoti proprio come se fossero dei pieni: non è che aggiungendo si ottiene per forza un prodotto migliore. Il design per sottrazione è complesso, richiede una ricerca più approfondita. E bisogna comunque sottostare a certi vincoli strutturali molto impattanti. Nonostante un volume così grosso (lunghezza 509,1 cm, larghezza 201 cm), la A4810 trasmette un’idea di leggerezza visiva, con risultati importanti anche sul piano dell’aerodinamica».
Agli studenti è stato espressamente chiesto dal direttore accademico dello Ied di Torino, Riccardo Balbo, di essere umili e allo stesso tempo coraggiosi. «Il design deve essere sempre all’insegna dell’inna novazione — prosegue Albera —, altrimenti si rischia di seguire la moda del momento: un problema che il car design ha patito troppe volte. Serve coraggio, bisogna spingere a costo di essere un po’ folli oppure naïf per evitare di riproporre in chiave moderna stilemi o architetture del passato. A volte bisogna distruggere tutto per poi ricostruire».
Nel gruppo eterogeneo di distruttori-costruttori ci sono diversi allievi indiani, ma anche taiwanesi e cinesi. Appecinque gli italiani, fra loro Virginia Droghei, 28enne di Frosinone, quota rosa come la mascherina che indossa: «Ho studiato Ingegneria Meccanica alla Sapienza di Roma, dopodiché ho deciso di intraprendere una strada un po’ più artistica. E lo Ied, in questo senso, è stata la scelta più giusta. Ho ereditato la passione per le macchine da mio padre. Ogni domenica, da piccola, andavo con lui ai raduni automobilistici: insomma, sono abituata a frequentare ambienti molto maschili».
Virginia era nella squadra di modellazione 3D insieme con José Gaspar De Jesus, 46 anni, nato in Venezuela prima di trasferirsi a New York, a Los Angeles e infine a Torino: «La mia passione per le auto inizia negli anni Ottanta, quando in Venezuela arrivavano soltanto macchine vecchie e molto squadrate: ecco, proprio l’esatto opposto della A4810».