«Il re», opera ambiziosa e intensa che rende onore a Zingaretti
Bruno Testori (Luca Zingaretti) è il direttore del carcere di San Michele, un penitenziario di frontiera, dove la legge imposta dal «re» (il direttore si vive come un sovrano assoluto) è più importante della legge dello Stato, dove la violenza e i traffici nascosti indirizzano la vita dei detenuti.
Un duplice omicidio, prima quello del comandante e suo migliore amico, poi quello di un ergastolano, principale alleato di Bruno tra i detenuti, comincia a far crollare le fondamenta su cui si regge questa istituzione doppiamente totale (alla vigilanza tradizionale si aggiunge una sorveglianza fatta di telecamere e cimici nascoste, quasi a raddoppiare il punto di vista del direttore). Il re è un prison drama in otto episodi prodotto da Sky Studios con Lorenzo Mieli per The Apartment e con Wildside, in collaborazione con Zocotoco, diretto da Giuseppe Gagliardi e scritto da Stefano Bises, Peppe Fire, Berrardo Pellegrini, Davide Serino e Massimo Reale.
una È platea un’opera internazionale, ambiziosa che sorretta si rivolge da una subito scrittura a di rara crudezza, attenta però a tutte le sfumature psicologiche, anche le più sottili (l’ossessione è il vero tema di questa serie). Il direttore regna come un sovrano shakespeariano, pieno di ombre e di luci, di certezze e di insicurezze: appare spietato o misericordioso a seconda dei casi, con un’intensità che rende onore alla recitazione di Zingaretti, ben lontano dai cliché montalbaneschi. Come in un gioco di scacchi, ci sono tre dame a cingerlo d’assedio: l’agente Sonia Massini (Isabella Ragonese), l’unica donna a portare i gradi nel carcere di San Michele, l’ex moglie Gloria (Barbora Bobulova) e il pubblico ministero Laura Lombardo (Anna Bonaiuto). La gabbia è la metafora narrativa che meglio ci raffigura la serie: la gabbia della coercizione e quella mentale del direttore, un garbuglio inestricabile di inconciliabilità.