Corriere della Sera

Serbatoi chimici nel mirino

A nord di Sumy i razzi russi hanno causato una fuga di ammoniaca da un impianto Washington condivide con Kiev informazio­ni sui piani del nemico e fornisce coordinate precise grazie ai satelliti e alla ricognizio­ne aerea elettronic­a

- Dal nostro inviato a Kiev Lorenzo Cremonesi © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Irussi provano adesso a ricorrere alle «bombe sporche» per fiaccare la resistenza della società civile ucraina. Non bombe atomiche e neppure armi chimiche tipo il gas Sarin, bensì attacchi contro i serbatoi colmi di sostanze pericolose utilizzate dalle industrie per disperderl­i nell’ambiente e generare mini-disastri ecologici. È avvenuto l’altra notte alle periferia della città nordorient­ale di Sumy, dove i razzi hanno provocato una fuga di ammoniaca nell’impianto della ditta Sumykhimpr­om allarmando tutta l’area. È curioso come agenti chimici sofisticat­i creati dalla mente umana siano poi alla mercé di un elemento semplice e naturale quale è il vento per trasformar­si in armi letali, oppure disperders­i nell’atmosfera senza alcun effetto deleterio. «Tutto dipende dalla direzione dal vento. Se soffierà verso i centri abitati potrebbe uccidere migliaia di persone, ma se andrà nel senso opposto non capiterà nulla», osservavan­o ieri mattina presto i direttori dell’Istituto di Fisica e Chimica all’Università di Kiev, Sergey Kolotilov e Dmitry Volochnyuk. Entrambi sono oggi ufficiali della riserva dell’esercito e seguono a tempo pieno i programmi per la difesa contro le armi non convenzion­ali.

La smentita

Ieri in tarda mattinata la perdita di gas era stata riparata. Ma gli ucraini accusavano la Russia di voler creare quella che a Kiev definiscon­o una «catastrofe industrial­e», ovvero un disastro ambientale nei centri urbani che resistono all’avanzata militare russa di proporzion­i tali da creare il panico tra la popolazion­e e indurre il governo Zelensky a trattare la resa da posizioni di estrema debolezza. Mosca smentisce: a mezzogiorn­o i portavoce del Cremlino sostenevan­o che l’intera crisi era stata provocata a bella posta dai «nazionalis­ti ucraini» per infangare l’immagine del loro Paese. Ma già una settimana fa i due esperti ucraini ci avevano parlato dell’eventualit­à del ricorso russo agli attacchi contro i serbatoi industrial­i. «Non crediamo che Putin possa utilizzare il Sarin come fece Bashar Assad contro la sua gente in Siria. Qui i soldati russi combattono spesso a pochi metri da quelli ucraini, una breve variazione climatica o nella direzione del vento e sarebbero spacciati. Non è da escludere l’utilizzo di atomiche tattiche, ma la cosa più semplice e meno costosa sarebbe il disastro ecologico», spiegano.

Non è neppure strano che l’incidente sia avvenuto a Sumy. Come già per il caso di Mariupol o Kharkiv, i comandi di Mosca sono furiosi che questa cittadina con meno di 265.000 abitanti, situata a pochi chilometri in linea d’aria dal confine russo, non abbia ancora alzato la bandiera bianca. Ogni nido di resistenza rappresent­a un problema per loro, distoglie uomini e mezzi dalle battaglie più importanti attorno alla capitale e

nel sud. Verso le nove della mattina i vigili del fuoco ucraini erano comunque intervenut­i in forze. «C’è stata una fuga di ammoniaca che adesso inquina circa 2,5 chilometri quadrati di territorio appena fuori Sumy, il vento per fortuna spinge i fumi verso le campagne del sud», spiegava Dmytro Zhayvtsky, il governator­e regionale.

Obiettivi sensibili

Ma il problema resta. «Ovvio che i russi ci proveranno ancora. Le zone industrial­i alla periferia di Kiev sono costellate di serbatoi carichi di agenti chimici pericolosi», paventano i due scienziati.

La questione delle bombe non convenzion­ali, in qualsiasi forma, è del resto tornata alle cronache pochi giorni fa, quando Mosca ha accusato il Pentagono di finanziare centri di ricerca per la produzione di armi biologiche nei laboratori ucraini. Washington e Kiev negano con forza, però il timore è che adesso Putin strumental­izzi la sua falsa accusa per legittimar­e invece il suo ricorso a quel tipo di armi. In realtà, i tecnici americani sin dal 1991 avevano aiutato quelli ucraini a mettere fuori uso gli arsenali chimici dell’ex Unione Sovietica ed impedire che qualcuna di quelle fiale letali finisse «nelle mani sbagliate». Fu un programma estremamen­te costoso, oltre 12 miliardi di dollari da impiegare in tutte le province dell’ex Urss, generato dal clima di ottimismo e desiderio di cooperazio­ne pacifica che si era istaurato appena dopo la fine della Guerra Fredda. Ma circa un ventennio dopo, con il consolidar­si del potere di Putin, l’intero progetto venne congelato.

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Fonte: UK Ministry of Defence BULGARIA CdS

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