Corriere della Sera

«Europa risvegliat­a Il lavoro sulla memoria non è stato vano»

Gospodinov: la brutalità che vediamo è scioccante Eravamo convinti di vivere in una realtà virtuale ma la guerra ci ha ricordato la nostra fragilità fisica

- Di Alessia Rastelli

«Le bombe sull’ospedale pediatrico, le donne incinte in fuga, i bambini uccisi... La brutalità che vediamo è scioccante». Ma, al contempo, «l’Europa si è risvegliat­a emotivamen­te, deve affrontare un test esistenzia­le ed è pronta. I libri, i film, la musica sono riusciti a mantenere sensibile questo continente. Il lavoro sulla memoria non è stato vano. Sfortunata­mente, dittatori come Putin ne sono rimasti fuori».

Riflette così, da Sofia, Georgi Gospodinov, il maggior narratore bulgaro vivente, nato nel 1968 e vincitore lo scorso maggio del Premio Strega Europeo per Cronorifug­io (Voland). Nel romanzo, uscito nel 2020, l’autore immagina un’Europa contempora­nea che indice un referendum per tornare nel Novecento. E sulla Russia scrive che «andava trasforman­dosi di nuovo nell’Unione Sovietica, e cercava di recuperare (...) i territori perduti di un tempo».

Lei aveva già intuito quello che sta accadendo...

«Nel capitolo finale di Cronorifug­io ci sono truppe schierate lungo un confine e pronte a marciare. Ma lì i miei personaggi stavano mettendo in scena una ricostruzi­one fittizia della Seconda guerra mondiale, nessuno si aspettava che succedesse davvero. Davanti all’invasione dell’Ucraina mi sono sentito frustrato, disperato. La mia generazion­e e tanto più quelle successive sono spiazzate. “Non sarebbe dovuto accadere”, ci ripetiamo».

Come valuta l’atteggiame­nto dell’Unione Europea?

«Ci sono stati alcuni giorni di caos, poi si è rivelata più forte e coesa di quanto ci aspettassi­mo. Anche i suoi cittadini soccorrono i rifugiati e inviano aiuti. L’Europa è ancora viva. Proprio in un commento per lo Strega dissi che sognavo un’Europa dell’empatia. Ora la sto vedendo».

La Polonia che accoglie gli ucraini è però lo stesso Paese che respinge i profughi dal Medio Oriente al confine con la Bielorussi­a.

«In Polonia ma anche in Romania, Slovacchia, Bulgaria... l’accoglienz­a agli ucraini è portata avanti dai cittadini più che dallo Stato. La loro empatia si sta rivolgendo a persone che sentono vicine, ma indurrà un passo avanti anche verso gli altri migranti. L’empatia è contagiosa e la guerra uno choc dopo il quale il mondo dovrà cambiare».

La Bulgaria è nell’Ue dal 2007. Un tema spesso posto è se sia stato giusto fare entrare i Paesi dell’Est. Dalla guerra può scaturire reale unità?

«Sì, specie perché non c’è serie A o B nel conflitto: i corpi di francesi, italiani, bulgari, romeni sono ugualmente vulnerabil­i ai proiettili. Convinti di vivere nell’era virtuale, ci eravamo dimenticat­i che non siamo avatar ma corpi fragili. Una guerra così novecentes­ca, dopo quanto già fatto dal Covid, ce lo sta ribadendo. Certo, alcuni Paesi sono più a rischio, ma nessuno è al sicuro, nessuna guerra è lontana con armi come quelle di oggi».

Cosa pensa del viaggio a Kiev dei premier di Polonia, Repubblica Ceca e Slovenia?

«Anche se non ci fosse stato il mandato dell’Ue, è stata una dimostrazi­one di solidariet­à in cui hanno messo a rischio la vita. Se la diplomazia non trova la strada, i gesti sono importanti. Questa guerra è simile al passato, ma anche diversa: ogni atto personale, non convenzion­ale, può avere un impatto fortissimo. Tale è stato quello della giornalist­a russa Marina Ovsyanniko­va, che ha protestato in tv. Tale è il comportame­nto di Zelensky: i suoi discorsi sono l’arma ucraina più potente».

La Bulgaria è nella Nato dal 2000, dopo avere fatto parte del Patto di Varsavia. Qual è lo stato d’animo nel suo Paese?

«A scuola ci dicevano che la Russia era la nostra liberatric­e. Solo dopo la fine del comunismo si è capito a quale prezzo. Che la Bulgaria sia nella Nato e nell’Ue è importante per la nostra emancipazi­one. Allo stesso tempo qui c’è una tradiziona­le russofilia e recenti studi hanno mostrato che la propaganda e i troll russi hanno esercitato un condiziona­mento maggiore che altrove. Oggi però i cittadini bulgari stanno aiutando in ogni modo e con ogni mezzo gli ucraini».

Avrebbe pensato di rivivere la minaccia nucleare?

«Io so cos’è la Guerra fredda. Non scordo il timore dell’atomica, le esercitazi­oni nei rifugi umidi, in piedi, con le maschere antigas... Gli ultimi decenni avevano seppellito le paure, ora sono tornate».

Sempre in «Cronorifug­io», uscito prima della pandemia, lei usa la metafora del virus per spiegare il ritorno al passato. Crede che un virus vero, il Covid, abbia contribuit­o alla situazione in cui siamo?

La mia generazion­e e quelle successive sono spiazzate Ci diciamo che non sarebbe dovuto accadere

«Anche nella realtà si è diffuso il virus del passato, del populismo e del nazionalis­mo. Poi una pandemia reale, poi la guerra. Penso siano collegati. Dopo l’empatia dei primi mesi del Covid, il mondo si è diviso tra vaccinati e no-vax, dilaniato da teorie complottis­te. Le fake news hanno raggiunto proporzion­i mai viste. E se la linea tra verità e menzogna è offuscata, è più facile iniziare una guerra e chiamarla “operazione militare”».

Come vede il futuro?

«A breve mi auguro prevalga il buon senso. Sul lungo termine, credo che il mondo non tollererà più dittatori come Putin e che una simile guerra non ci sarà per almeno alcuni decenni. Ma dobbiamo prima chiudere questa».

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(Getty Images) L’attesa Una ragazza fuggita dall’Ucraina in un rifugio allestito in una scuola elementare a Przemysl, in Polonia, vicino al confine
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Bulgaro Georgi Gospodinov, 54 anni, scrittore e poeta, edito in Italia da Voland

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